Ruben Razzante*
​Ruben Razzante*

Il nodo big tech/ La libera informazione e le tutele che mancano

di ​Ruben Razzante*
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Giovedì 4 Maggio 2023, 00:06

Ci sono temi di interesse pubblico che non esauriranno mai la loro attualità e resteranno sempre centrali per la vita delle persone e per il benessere degli Stati. Diventano spesso motivo di scontro, anche aspro, nella politica e nella società, ma contribuiscono in ogni caso ad arricchire il dibattito e a far crescere la democrazia.
La libertà di stampa è uno di questi ed è forse uno dei più insidiosi perché chiama in causa il rapporto tra i poteri e incide sull’esercizio di tutti i diritti di cittadinanza. Per conoscere a fondo la realtà delle cose e per poter svolgere la propria personalità, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, secondo il dettato dell’art.2 della Costituzione, è indispensabile essere correttamente informati. Una informazione libera, veritiera e attendibile è la premessa indispensabile affinché i cittadini possano compiere scelte consapevoli e partecipare attivamente alla vita dello Stato, con piena cognizione dei loro diritti e doveri. Per converso, se i flussi informativi risultano condizionati da dinamiche perverse che attengono alla contaminazione tra poteri e alle pesanti ipoteche che quei poteri spesso pongono sulle scelte editoriali, ai cittadini arrivano notizie alterate e opinioni unilaterali.
La libertà di stampa, che nell’attuale civiltà multimediale va intesa come libertà di tutti i mezzi d’informazione e non solo dei giornali cartacei, è dunque un bene prezioso da preservare ogni giorno e da non considerare mai acquisito una volta per tutte. 

Le insidie sono sempre dietro l’angolo. D’altronde la storia del rapporto tra stampa e potere è costellata di sistematici tentativi di irreggimentazione che hanno ciclicamente prodotto improvvide compressioni del diritto-dovere dei giornalisti di raccontare fatti di interesse pubblico. La misura della libertà di chi fa informazione determina spesso il grado di qualità delle notizie che arrivano al pubblico: più ostacoli incontra il processo di scoperta dei fatti e di divulgazione dei resoconti cronachistici minore risulterà il livello di affidabilità dei contenuti narrati. Di qui la necessità di non abbassare mai la guardia e di vigilare affinché la verità sostanziale dei fatti possa essere sempre la bussola orientatrice del lavoro dei giornalisti, al riparo dai condizionamenti del potere politico, delle consorterie economico-finanziarie e delle diverse lobby interessate a influenzare i circuiti mediatici.

Che l’informazione sia un bene pubblico, di tutti, da proteggere nella sua autonomia e indipendenza lo si ricorda in modo solenne ogni anno, da trent’anni, il 3 maggio, festeggiando la Giornata mondiale della stampa, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La ricorrenza assume una valenza diversa da continente a continente e da Stato a Stato. In molte parti del mondo i media sono irreggimentati e diffondono solo verità gradite a chi governa; il dissenso viene demonizzato e il pluralismo delle idee non esiste.

Nelle moderne democrazie occidentali, invece, le leggi le sentenze, i codici di comportamento degli operatori del settore hanno blindato la libertà di manifestazione del pensiero e a tutti viene data la possibilità di esprimere le proprie opinioni su una molteplicità di canali, senza censure né limitazioni. 

Affinché l’impegno in difesa della libertà di stampa non si riveli sterile e inefficace occorre che tutti facciano la loro parte. I legislatori nazionali e sovranazionali sono chiamati a moltiplicare le tutele giuridiche per chi fa informazione. Gli organi giurisdizionali, applicando le normative, devono assicurare un corretto bilanciamento tra libertà di stampa e riconoscimento dei diritti della personalità dei protagonisti delle cronache. Ai giornalisti toccano molteplici sfide in una civiltà multimediale contrassegnata da una bulimia informativa e un’overdose di notizie non verificate e che finiscono per disinformare e disorientare l’opinione pubblica. Anzitutto i giornalisti devono impegnarsi a fondo per marcare una diversità deontologica da chi ritiene che basti avere un buono stile di scrittura e tanti follower per poter produrre contenuti informativi. Come se per farsi ascoltare da un pubblico più o meno ampio non fossero altresì indispensabili la capacità di selezionare criticamente le fonti, l’onestà intellettuale nella ricerca della verità delle cose e, in generale, il rispetto dei principi della deontologia giornalistica pensata proprio per equilibrare la libertà del giornalista e la sua responsabilità nei confronti delle persone protagoniste dei fatti.

Per valorizzare, anche nello spazio virtuale, l’informazione professionale di qualità e per renderla immediatamente distinguibile dal chiacchiericcio scomposto dei social, che veicolano, secondo le imperscrutabili logiche dell’algoritmo, contenuti di ogni tipo senza alcun controllo né vaglio critico, è necessario un concorso di forze. Non bastano l’impegno e la buona volontà di chi produce le informazioni e si sforza di confezionare resoconti giornalistici rispettosi dei principi deontologici. E’ altresì necessario che i colossi del web, veri amplificatori dell’ecosistema mediale, premino anche economicamente la buona informazione prodotta da chi ha competenze e professionalità. Le recenti normative europee che responsabilizzano sempre più le piattaforme nei confronti dei produttori di contenuti sono un segnale incoraggiante sulla strada del riequilibrio della filiera di produzione e distribuzione dei contenuti e contribuiscono ad alimentare un giornalismo pluralista e in grado di soddisfare al meglio il fabbisogno informativo delle persone.

*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano 
e alla Lumsa di Roma

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