Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Lutti e povertà/ Il dramma Libano e la politica complice

di Vittorio Emanuele Parsi
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Domenica 17 Ottobre 2021, 00:10

La sparatoria che giovedì ha causato sette morti e decine di feriti nel centro di Beirut è una triste conferma di come il Libano resti bloccato in una crisi di cui non solo non si intravede nessuna via di uscita, ma neppure la volontà di cercarla. Tutta la scricchiolante ipocrisia del sistema politico libanese, la sua cronica corruzione, la sua cinica e totale indifferenza per le sofferenze della popolazione si è ripresentata nella sua indecente evidenza. 


Dopo due anni di pandemia, la situazione è disperata. L’80% dei libanesi vive al di sotto della soglia di povertà, la lira si è svalutata del 90%, i conti correnti sono bloccati, mancano i medicinali salvavita come le banali aspirine, non c’è carburante per le macchine e i generatori, in un Paese dove l’energia elettrica viene distribuita per non più di 2 ore al giorno (la settimana scorsa c’è stato un clamoroso black-out in tutta Beirut) e i trasporti pubblici sono inesistenti. Lo Stato è in bancarotta e gli aiuti internazionali promessi dopo la devastante esplosione del porto di Beirut dello scorso anno sono bloccati a causa dell’incapacità del governo di presentare un Recovery plan che contenga anche le necessarie riforme.


Il governo e l’esplosione, appunto. Ci sono voluti 14 mesi di estenuanti trattative per arrivare alla nomina a primo ministro del milionario Najib Mikati e sono gli stessi mesi passati dall’esplosione che causò 219 morti e 300.000 senza tetto nel centro della capitale. Mikati è la tipica espressione di quel ceto politico-affaristico che ha distrutto il Libano, traendo tutti i profitti, leciti (pochi) e illeciti (molti) che era in grado di estrarre da quell’assetto costituzionale settario che, fin dalle sue origini, contraddistingue il Paese. La sparatoria di giovedì è infatti avvenuta durante una manifestazione convocata da Hezbollah ed Amal – i due partiti sciiti, entrambi ben rappresentati nel governo – per forzare il giudice istruttore che sta conducendo le indagini sulla mega-esplosione dello scorso anno ad abbandonare il caso. La sua “colpa”? Avere chiesto l’arresto di due ministri del tempo che si sono rifiutati di comparire e testimoniare.

Hezbollah ed Amal lo accusano di agire sulla base di un movente politico. In realtà vorrebbero affossare un’indagine che, lentamente (non c’è stato un solo arresto finora), sta cercando di portare alla luce quell’opaca e vischiosa rete di complicità e connivenze che un anno fa ha consentito che il centro di Beirut saltasse per aria e che ora, messa alle strette, rischia di far esplodere tutto il Libano.


Nel 1975 furono i maroniti delle Falangi a imbracciare le armi, per dimostrare che erano pronti a tutto pur di non mollare niente. Ora sono gli sciiti di Hezbollah a flettere i muscoli. Oggi come allora, conta relativamente poco chi ha sparato il primo colpo di fucile a chi. Perché le armi – e tante – erano già in piazza, tra la folla sciita che circondava, in un quartiere maronita, il Palazzo di giustizia. E non c’è dubbio che oggi sono solo gli Hezbollah che possono pensare (illudersi?) che, se dalle parole si passasse alle pallottole, sarebbero in vantaggio. Hezbollah è infatti la sola milizia ancora ufficialmente (e pesantemente) armata, nel nome della resistenza nei confronti di Israele. Talmente bene armata e addestrata da aver contribuito in maniera decisiva alla sopravvivenza di Assad durante la guerra civile siriana, prima che i russi intervenissero direttamente, e, ancora più saldamente del regime siriano, Hezbollah è legata all’Iran. La differenza sostanziale con il 1975, però, è che oggi il Libano è già un Paese distrutto. Non solo lo Stato è fallito, è proprio il Paese che è a un passo dal cessare di esistere, come se una nuova guerra civile ci fosse già stata.
Lo scempio della capitale causata dall’esplosione dell’agosto 2020 ha tragicamente messo in mostra gli effetti di una guerra silenziosamente già avvenuta: la guerra di tutta un’élite politica, affaristica e settaria, contro il suo popolo, l’intero suo popolo: compresi quegli sciiti mobilitati l’altro ieri da Hezbollah ed Amal per impedire alla verità dei fatti di emergere. 

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