Paolo Graldi
Paolo Graldi

La stella a 5 punte/ Nessuno sottovaluti quel tetro segnale disegnato sul muro

La stella a 5 punte/ Nessuno sottovaluti quel tetro segnale disegnato sul muro
di Paolo Graldi
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Domenica 16 Ottobre 2022, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 10:35

La famigerata stella a cinque punte, marchio di fabbrica delle Brigate Rosse, riappare sui muri della Capitale, lugubre, minaccioso presagio di violenze. E’ il neo presidente del Senato Ignazio La Russa nel mirino e il messaggio di “Benvenuto”, d’improvviso, riaccende le sirene di allarme. La risposta dei partiti e di singole personalità è stata, per lo più, ferma e risoluta: l’odio politico va bandito in ogni sua forma e tutti debbono concorrere a dare al confronto sulla grave situazione internazionale e sulle difficoltà del Paese un contributo di saggezza, legalità e concordia.

Quella stella, che tante volte nei tragici Anni di Piombo abbiamo visto intrisa di sangue, non può essere considerata un guizzo estemporaneo di qualche burlone in cerca di clamore propagandistico. Quel simbolo va preso sul serio, classificato come un lampo di ostilità portatore di incoraggiamenti all’azione.
E’ già successo, bisogna temere che possa accadere ancora. Dai muri, da quando il mondo è mondo, si lanciano messaggi. Quasi sempre grida, incitamenti, slogan d’assalto.
Il terrorismo rosso ne ha fatto un largo uso ma anche quello nero se ne è valso con ampiezza e asprezza: “…Occorsio tu ci dai l’ergastolo ma noi di più”, scrivevano sui muri intorno al palazzo di Giustizia di Roma gli assassini morali del giudice che indagava sui Nar.

Giorgia Meloni, nel suo nuovo ruolo di capo della maggioranza parlamentare e in attesa di molto d’altro, ha speso parole di condanna verso ogni demonizzazione degli avversari e promesso di agire con determinazione per unire e non certo per dividere.

L’odio, utilizzato come materia contundente nel dibattito politico, anche aspro e di severa contrapposizione, va condannato senza se e senza ma. Il nome di La Russa scritto alla rovescia, gli striscioni apparsi al Colosseo e le scritte della Garbatella, rappresentano altrettanti segnali di una china pericolosa, in un momento delicatissimo, come quello della vigilia della formazione di un nuovo governo. Le parole di Enrico Letta (che pure nella serata di ieri ha espresso solidarietà al Presidente La Russa per le minacce ricevute) sulle nomine dei presidenti dei due rami del Parlamento anziché smorzare hanno comunque buttato benzina sulla scena. Di qui le reazioni di Giorgia Meloni che avranno inevitabili strascichi. In una nota il capo di Fratelli d’Italia stigmatizza con estrema durezza le parole del segretario del Pd Che rappresentano un danno per l’Italia in Europa per “le sue più alte istituzioni e la sua credibilità istituzionale” chiedendo scuse immediate.

Le polemiche al calor bianco, benché giustificate, alimentano contrapposizioni pericolose, e non se ne avverte proprio il bisogno. Se è vero che le parole sono pietre il loro uso contundente va estromesso da ogni ambito dialettico sul palcoscenico della politica e sarebbe gravemente irresponsabile farne un uso di bassa e volgare propaganda. Ai tempi del sequestro di Aldo Moro con lucida tempestività i dirigenti dell’allora Pci si fecero muraglia contro qualsiasi forma di simpatia o di compassionevole giustificazione verso gli atti delle Brigate Rosse. Fu un passaggio cruciale, di assoluto discrimine che valse come demarcazione verso la violenza squadrista di ogni colore.

Usciamo da una campagna elettorale urlata, rancorosa, densa di rigurgiti e di rinfacci, chiamando la Storia anche a sproposito a fare la testimone. Le attese del Paese debbono avere lo sguardo lungo, dirette a un futuro denso di incognite e anche di nubi minacciose da affrontare con compattezza e determinazione.
Tutti dovrebbero concorrere ad agevolare questo incerto e accidentato cammino. Le grida con i marchi di fabbrica, impregnati di piombo e di sangue, sono il primo nemico. Guai a consentirgli di alzare la voce in cerca di un coro.

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