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La corsa al siero/ La risposta che serve allo strappo di Merkel

Articolo riservato agli abbonati
30 Dicembre 2020 (Lettura 4 minuti)

Il noto principio di Orwell, secondo il quale in una società di uguali c’è sempre qualcuno più uguale degli altri, ha avuto in questi giorni una puntuale e deludente conferma. Angela Merkel, con un blitzkrieg fulmineo e inatteso come quelli di Guderian, si è accaparrata 30 milioni di dosi supplementari di vaccino anticovid. 

Per la sua prima consegna, la Germania aveva già avuto una corsia, per così dire, preferenziale, vaccinando un numero di persone tre volte superiore rispetto a noi. Ma si era trattato, a detta di alcuni, di una maggiore efficienza nella distribuzione delle dosi pattuite, che non avrebbe alterato la proporzione stabilita a suo tempo con gli accordi europei del 18 giugno, che prevedevano, all’articolo 7, l’obbligo dei 27 membri «di non negoziare separatamente». 

Ora questi accordi sono stati clamorosamente violati, in barba ai secolari principi del “pacta sunt servanda” e della “bona fides” che dai tempi di Grozio disciplinano, o dovrebbero disciplinare, le relazioni internazionali. Il ministro della Sanità tedesco, Jens Spahn, che pare sia più popolare della stessa cancelliera di cui sarebbe l’erede, si è giustificato dicendo che il vaccino Pfizer è in parte tedesco e che le quantità assegnate al suo Paese erano insufficienti a raggiungere in tempi brevi l’immunità di gregge.

Come si vede, peggio il rattoppo del buco. Questa scelta, a dir poco sgradevole, ci suggerisce due considerazioni. La prima è di ordine umanitario. Quanto sia costata e stia costando in termini di vite umane e di dolori questa lunga epidemia è quasi banale ricordarlo. Ma proprio perché essa ha unito nella sofferenza il mondo in generale, e l’Europa in particolare, si sperava che un minimo di carità cristiana avrebbe dovuto ispirare una distribuzione equa e omogenea. 

Anche senza aderire all’esortazione del Pontefice di privilegiare gli umili e i bisognosi - perché l’obiettivo di sconfiggere il morbo si raggiunge meglio cautelando per primi quelli che lo combattono e lo curano - gli Stati dovrebbero accantonare ogni istinto nazionalistico per imporsi una strategia comune e solidale. 

Cosa che, almeno a parole, l’Europa aveva deciso proprio con gli accordi del 18 giugno scorso. Il fatto che siano stati considerati “pezzi di carta”, secondo la nota affermazione di un predecessore della cancelliera Merkel, non depone a favore di quel Paese, che è ancora in debito morale con il resto del mondo. 

La seconda, anche più antipatica, è di ordine economico. La recessione prodotta dalla pandemia è anch’essa di un’evidenza così drammatica che è inutile ricordarla. Di converso, la ripresa sarà tanto più veloce quanto prima finirà questo flagello. E i Paesi che ne trarranno maggiore vantaggio saranno, ovviamente, quelli che ne usciranno per primi. La Cina e la Russia hanno intrapreso strade diverse e più rapide, perché la loro struttura politica consente una duttilità nelle decisioni e un’accettazione del rischio che da noi sono impensabili. 
Se siamo partiti in ritardo nei loro confronti non è perché i nostri scienziati siano meno bravi: sono semplicemente più cauti, e vincolati da norme più rigorose. Al netto quindi della concorrenza di Russia e Cina, le democrazie occidentali dovrebbero garantire, almeno nella fase della somministrazione, un’uguaglianza delle posizioni di partenza anche sotto il profilo produttivo. L’idea che un membro della Ue sfrutti i vaccini per trarne vantaggi materiali non sarà forse blasfema, ma è certamente ripugnante. 

A questo punto ci domandiamo cosa farà il nostro governo. Lo schiaffo affibbiatoci da frau Merkel non deve essere sottovalutato. Noi sappiamo benissimo che l’Europa che abbiamo non è quella sognata da De Gasperi, da Adenauer e da Schumann. Sappiamo anche che è nata senz’anima, perché ha rifiutato una coesione ideale nella tradizione giudaico cristiana. E che è nata anche senza cervello, perché mancando di un’unità costituzionale, giuridica e tributaria è come una casa con un tetto pesante e fondamenta fragili. 

Sappiamo inoltre (e sapevamo) che una Germania unita con ottanta milioni di cittadini operosi, intelligenti e disciplinati avrebbe inevitabilmente - in mancanza di adeguati correttivi - dominato la scena. Ma sappiamo anche che se questo matrimonio è stato di puro interesse finanziario, il divorzio è impossibile, soprattutto per un Paese come il nostro oberato di debiti e controllato, com’è ovvio, da creditori attenti e severi. 

Tuttavia proprio per questo speriamo che il nostro governo non assista inerte e distratto a questa flagrante violazione degli accordi. Una delle ragioni per le quali i cosiddetti sovranisti diffidano dell’Europa consiste nella convinzione che essa sia subalterna alla Germania; e che, tanto per fare un esempio, il Mes vada respinto perché sarebbe - dicono - l’ennesimo favore fatto alle banche tedesche. Non sappiamo se questo sia vero. Ma se il nostro governo non avesse il coraggio di alzare la voce, dimostrando un’acquiescenza servile, dovremmo ammettere che questi sospetti sono fondati.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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