Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Bilanci e prospettive/L’Italia corre, ma le riforme non possono restare al palo

di Paolo Balduzzi
5 Minuti di Lettura
Lunedì 15 Novembre 2021, 01:25 - Ultimo aggiornamento: 23:41

C’era una volta l’autunno, la stagione dai colori straordinari ma dagli umori mesti. Soprattutto per le prospettive economiche del Paese. Da tempo, infatti, la fine di novembre coincideva sempre con ricorrenti trattative in sede europea, per ottenere quel po’ di flessibilità in più che ci permetteva di allontanare, anno dopo anno, l’obiettivo di riduzione del deficit e quello, ancor più rilevante, di contenimento del debito.


In quell’autunno di una volta, il bilancio pluriennale era un esercizio di equilibrismo, in cui tutte le risorse si spendevano subito, mentre un miracoloso risanamento dei conti era sempre rimandato al futuro. Era l’autunno delle previsioni di crescita economica che vedevano sempre l’Italia tra i peggiori della lista: crescita bassa quando tutti crescevano molto, recessione più grave quando le cose andavano male.
Quell’autunno, oggi, sembra lontano. Lo testimonia una crescita economica che, già dopo l’estate, aveva superato le previsioni governative (già di per sé solitamente ottimistiche) per il 2021. Lo indicano le previsioni della Commissione europea che, oltre a confermare la straordinaria crescita nel 2021 per il nostro Paese, portano buone notizie anche in una prospettiva temporale e longitudinale, vale a dire con riferimento agli altri Stati dell’Unione.


E i dati sono questi: a fronte di una crescita media europea del 5% per il 2021, l’Italia crescerà del 6,2%. Quasi il 50% in più della Spagna (+4,6%) e più del doppio della Germania (+2,7%). Una crescita che, seppur minore, è confermata anche per il 2022: +4,3%, pari alla media europea e poco sotto la Germania (+4,6%). Un andamento nel biennio molto simile a quello francese, con Parigi leggermente in vantaggio nel 2021 (+6,5%) e invece in svantaggio nel 2022 (+3,8%). 


Come spiegare un cambiamento di questo tipo? Da un lato, pesa la reputazione del Paese, notevolmente aumentata nel 2021 anche grazie alla figura del presidente del Consiglio, Mario Draghi. La reputazione del Paese è molto importante: innanzitutto, perché facilita le contrattazioni a livello europeo; secondariamente, perché permette di attrarre investimenti privati, anche dall’estero (e il recente caso Euronext a Roma ne è un esempio lampante). Ma soprattutto perché permette di mantenere molto bassi i tassi di interesse del settore pubblico, ormai ai minimi storici. In questo modo, il Paese spende meno in gestione del debito e ha più risorse per investimenti produttivi, quelli che trainano l’economia. 


Dall’altro lato, l’economia italiana beneficia anche di una politica sanitaria che, nonostante abbia incontrato e stia ancora tristemente incontrando resistenze nel Paese, ha garantito terapie intensive chiuse e un numero di morti limitati molto più a lungo che in altri Stati. Tuttavia, nonostante questi numeri positivi, la situazione è ancora incerta. E lo è per diversi motivi. Innanzitutto, la pandemia sta tornando a mordere. Maggiormente in altre nazioni europee rispetto all’Italia. 


Ma prima o poi la quarta ondata colpirà duro anche da noi. Il Paese deve farsi trovare pronto, sia per risparmiare quante più vite possibili, e questo è il primo obiettivo, sia per evitare ulteriori chiusure. Sarebbe un dramma, e non solo economico. La società è già oggi piuttosto divisa tra una minoranza rumorosa contraria ai vaccini e al Green pass e una larga ma silenziosa maggioranza che ha rispettato l’invito a vaccinarsi. 
Chiusure generalizzate avranno effetti esplosivi.

E di sicuro la responsabilità ricadrà su chi in questi mesi si è ripetutamente e ostinatamente opposto a pass e vaccini. 


Secondo, la crescita di quest’anno beneficia certamente anche di un rimbalzo implicito, dopo il crollo rovinoso dell’economia nel 2020. In effetti, un indizio che le prospettive potrebbero non essere così rosee ci sono già; basta guardare alle previsioni per il 2023. Che è ancora lontano, nessuno lo nega. Ma quella crescita del 2,3%, inferiore alla media europea, accende qualche campanello di allarme. Perché è pur vero che trattasi di un tasso di crescita di tutto rispetto. Ma è un valore che, pochi anni fa, molti Paesi europei sperimentavano anche senza la potenza di fuoco del Recovery fund e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). 


Peraltro, il Pnrr dovrebbe svolgere i maggiori effetti proprio nel futuro, quando tutti i progetti e gli investimenti saranno realizzati e ultimati. Paradossalmente, invece, tra due anni la crescita sarà già pari a un terzo di quella di quest’anno. Il problema principale allora, al di là dell’incertezza relativa alla pandemia, è sull’esito delle riforme strutturali. Si tratta dell’eterna scommessa che il nostro Paese, finora, ha sempre perduto. Come stanno le cose, su questo fronte? La riforma delle politiche familiari dovrebbe essere in dirittura d’arrivo, grazie all’introduzione dell’assegno unico. Tuttavia, il sospetto che alla fine saranno molte di più le famiglie che ci rimetteranno rispetto all’oggi si fa sempre più largo. E ciò potrebbe avere effetti molto negativi sull’offerta di lavoro delle famiglie. 


Per non parlare dell’effetto sulle scelte riproduttive. La riforma fiscale aspetta una delega che, al momento, giace dimenticata in parlamento. Le pensioni non si possono toccare, come le polemiche sulla legge di bilancio dimostrano. Di riforma della burocrazia, della giustizia civile, della giustizia amministrativa nemmeno si parla più. I mesi a venire saranno impegnativi: ci aspettano un’eventuale stretta sui vaccini, l’elezione del Presidente della repubblica e, al più tardi nel 2023, le elezioni politiche.
Sono tutti eventi che creano turbolenze e che potrebbero distrarre il legislatore dal suo compito principale, che è invece quello di far crescere il Paese. E di farci dimenticare in fretta quegli autunni, colorati ma mesti, a cui eravamo abituati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA