Giovanni Castellaneta

Sei mesi di guerra/ Il dialogo Kiev-Mosca per fermare il conflitto

di Giovanni Castellaneta
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Giovedì 25 Agosto 2022, 00:14

L’omicidio di Darya Dugina – figlia “d’arte” del filosofo russo Alexandr Dugin, considerato l’ispiratore ideologico del regime di Vladimir Putin – essendo avvenuto a quasi sei mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, non può non destare ipotesi “creative”, solleticando la fantasia dei dietrologi. Tuttavia, per quando le diverse ricostruzioni abbondino, allo stato attuale è quasi impossibile stabilire le reali responsabilità dietro l’attentato e la verità definitiva si saprà forse solo tra molti anni.


Ciò non toglie che non sia comunque possibile riassumere le principali ipotesi sul tavolo, formulate dalle diverse parti in causa, ed ordinarle in base al grado di probabilità. La prima propende per una matrice esclusivamente interna: un’opposizione a Putin – seppur al momento ancora minoritaria e silente – sicuramente esiste, anche se un attentato del genere rappresenterebbe una falla troppo ampia nel sistema di sicurezza russo (dove l’intelligence è ancora molto forte e radicata), nonostante l’obiettivo fosse una persona non particolarmente protetta e non si trovasse a Mosca. La seconda ipotesi – sostenuta invece dal Cremlino – punta invece il dito direttamente contro il governo ucraino, che avrebbe voluto colpire Putin indirettamente attraverso un obiettivo “vicino” al regime: tuttavia tale ipotesi sembra da escludere, non fosse altro per il peso ridotto di Darya Dugina e anche perchè – come insegnano i gialli di Agatha Christie – il maggiore sospettato non è quasi mai il vero colpevole.

È dunque possibile che la verità stia nel mezzo di due ipotesi intermedie: un attentato organizzato da oppositori interni ma sostenuto da “agenti” esterni (ambienti ucraini, perché no, ma non solo), oppure al contrario un’azione ordita da organizzazioni straniere che hanno però potuto contare su un appoggio all’interno del Paese: se così fosse, non si tratterebbe di qualcosa di troppo diverso (anche se meno sofisticato) dall’assassinio di Mohsen Mahabadi, il capo del programma nucleare iraniano ucciso l’anno scorso a Teheran in circostanze rimaste misteriose. Ad ogni modo, ciò che davvero conta ed è inconfutabile è che l’attentato a Dugina ha un forte valore simbolico e ha messo in evidenza come nemmeno il regime dello “zar” Putin sia invulnerabile e che è possibile colpire obiettivi a lui vicini anche in territorio russo.


Una “debolezza” che consente di effettuare un parallelismo anche con le difficoltà che sta affrontando la Russia sul terreno ucraino, a sei mesi dall’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” che, nelle intenzioni di Putin, avrebbe dovuto “denazificare” l’Ucraina nel giro di pochi giorni instaurando un governo fantoccio dopo la rapida destituzione di Zelensky.

Un piano che non è evidentemente andato a buon fine dato che allo stato attuale non solo le truppe russe non riescono più ad avanzare ma stanno addirittura arretrando. Quella che dunque doveva essere una “guerra lampo” si è ormai cristallizzata in una guerra di logoramento e di “trincea” (un po’come i conflitti della prima metà del Novecento, nonostante l’ausilio delle più moderne tecnologie) che rischia di andare avanti molto a lungo, sfruttando anche una progressiva perdita di interesse da parte delle potenze occidentali, distratte da altre priorità interne (come crisi economica alle porte o imminenti elezioni, per fare l’esempio del nostro Paese) e ormai assuefatte alla “routine” di una guerra che sta comportando costi altissimi anche in termini di sostegno militare in contemporanea con immagini di normalita come spiagge e centri commerciali affollati.


Per evitare un tale esito, che è da scongiurare in quanto porterebbe ad altre numerose perdite umane oltre che ad una perenne instabilità nella regione, bisognerebbe dunque fare in modo di sfruttare la fase attuale facendola diventare un punto di svolta del conflitto. Da una parte, la Russia sta facendo i conti con le prime vere debolezze dall’inizio della guerra, sia all’esterno che in patria; dall’altra, Ucraina e alleati devono capire che non si può perpetuare in maniera indefinita una guerra che ha già avuto conseguenze pesantissime a livello umano, economico e sociale. È dunque fondamentale provare a capitalizzare sugli elementi positivi di dialogo delle ultime settimane (dalla riapertura dei porti sul Mar Nero o alla conferenza sulla Crimea) per intavolare un vero negoziato tra Kiev e Mosca che porti ad una fine delle ostilità. Prolungare questa immotivata ed illegale guerra non porterebbe vantaggio a nessuna delle parti coinvolte; occorre invece ripristinare pienamente il valore del diritto internazionale cercando un realistico punto di incontro.
 

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