Mario Ajello
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Cencelli in soffitta/ La scelta dei migliori: un atto di coraggio

di Mario Ajello
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Venerdì 7 Ottobre 2022, 00:05

Tempi eccezionali nella loro gravità richiedono personale di governo eccezionale e professionisti di grande calibro, ma i partiti ne hanno pochi. Ecco perché Giorgia Meloni insiste ogni giorno di più, e dalle elezioni di giorni ne sono trascorsi 12, sulla necessità di un esecutivo «di alto profilo», sul bisogno di avere nelle cosiddette stanze dei bottoni i capaci, i competenti, i migliori. Quelli, insomma, che alla maniera greca potremmo ancora chiamare gli “aristoi” e che rappresentano l’élite della virtù e del talento. 


Questo continuo richiamo all’eccellenza della classe di governo, al di là delle casacche e delle appartenenze, rappresenta una svolta rilevante nel paesaggio politico italiano. Non era mai accaduto che una premier in pectore, la cui vittoria è stata legittimata dal voto dei cittadini in un Paese in cui non sempre governa chi ha vinto le elezioni, prenda atto chiaramente che il sistema dei partiti di cui è massima rappresentante ha prodotto poco in questi anni in termini di professionalità politica e che dunque occorre rivolgersi anche a risorse non direttamente provenienti da carriere parlamentari o con curriculum di dirigenti politici. 


La novità sta nel fatto che solitamente - vedi il governo Monti o il governo Draghi - il ricorso ai tecnici si ha quando la politica ha collassato e si affida per disperazione al supporto o alla supplenza dei tecnici o delle riserve della Repubblica. Stavolta, invece, c’è il principio assoluto e inderogabile per cui la natura del governo è politica, perché i governi sono politici quando hanno un mandato popolare, un programma definito e una visione certificata nelle urne, ma questa guida politica sente che l’auto-sufficienza non può riuscire pienamente a fare l’interesse della nazione. E che ci vuole di più e di meglio. I migliori, appunto. Quelli che non derivano da bilancini e Cencelli, strumenti spesso collegati a veti e contro-veti e dunque produttori di classe dirigente al ribasso, e che sono i più capaci di sopportare - proprio perché dotati delle spalle larghe da civil servant e liberi dal respiro corto dei politici che vogliono anzitutto arrivare vivi alle prossime elezioni - il peso di eventuali scelte impopolari e di sacrifici, energetici in primo luogo, che probabilmente dovremo adottare. 


In nome dell’interesse generale, e del principio finora ineditissimo per cui si possono sacrificare i fedeli per scegliere i capaci, Meloni ha chiesto perfino ai colleghi di partito, a gente che con lei condivide una storia e un percorso, di non sentirsi sminuiti se posti di comando importanti verranno destinati a figure diverse dalle loro.

Il fatto che una leader si comporti così, e che ammetta che per fare buona politica servono anche professionalità specifiche reperibili sul mercato della buona amministrazione e nel giro più ampio di chi lavora o ha lavorato nelle istituzioni di vario tipo e di alto livello, rivela un approccio post-ideologico e un approdo alla neo-politica che sono molto in linea con gli umori dei cittadini. I quali, senza troppo badare agli equilibri interni al Palazzo e alle discussioni tra partiti, chiedono fatti a chi è più attrezzato a fare fatti, sia pure in una cornice politica che è quella del centrodestra scelto dalla maggioranza e abilitato a governare sulla scorta di numeri abbastanza ampi. 


Un ceto politico sradicato e una fragile classe dirigente dei partiti dovrebbero avere l’umiltà di ammettere che è nei momenti di crisi che si sperimentano le migliori capacità costruttive e di rinascita di un Paese e che queste non solo non vanno osteggiate per gelosie di potere ma favorite e coinvolte secondo una visione patriottica di sguardo lungo. Non si tratta allora di avere un governo dei migliori ma un governo politico che scelga i migliori - e ce ne sono anche nelle quattro forze di maggioranza: FdI, Lega, Forza Italia e centristi - come interpreti e realizzatori di un progetto all’altezza della situazione. Questa è la linea di Meloni. E questo - viene da pensare - è il sotto-testo rivolto, senza nessuna minaccia anzi con la coscienza di stare tutti sulla stessa barca, agli alleati: non scherziamo più con i capricci e con le bandierine da piantare su sedie e seggiole, perché i cittadini sono molto oltre queste cose, chiedono sostanza indipendentemente dai pennacchi e molti italiani si sono astenuti proprio in polemica con i partiti troppo concentrati sul loro tornaconto e meno specializzati a trovare soluzioni pratiche e persone adatte a esercitarle. 


Non è certo un’altra forma di populismo, ma una netta assunzione di responsabilità e una forte affermazione della politica, il coinvolgere le energie migliori per il risultato sperabilmente migliore. E’ come riandare alle radici della democrazia, attualizzando la lezione di Pericle nel famoso discorso del 431 avanti Cristo: «Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato ma non come atto di privilegio, bensì come una ricompensa al merito. Qui ad Atene, facciamo così». Qui in Italia, possiamo fare così.

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