Alessandro Campi
Alessandro Campi

Dinamiche nuove/La dialettica nel governo che illude l’opposizione

di Alessandro Campi
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Lunedì 16 Gennaio 2023, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 00:48

La logica di funzionamento dei governi di coalizione – che sono la regola nelle democrazie contemporanee, compresa quella italiana nei lunghi decenni repubblicani sino ad oggi – è semplice e ineluttabile: nessuna forza politica, anche se grande, può decidere da sola. Quando si è alleati all’interno di una maggioranza bisogna ascoltare ogni partito che ne fa parte, discutere e mediare, magari litigare, sino a trovare un punto di compromesso che accontenti tutti. Vi riesce d’immaginare qualcosa di più democratico, di più politico?
Se si parte da questa banale verità appaiono davvero forzate e strumentali le discussioni di questi giorni sulla tenuta del governo presieduto da Giorgia Meloni, che a sua volta è l’espressione di un classico accordo di coalizione tra partiti che – particolare non proprio trascurabile – sin dalla campagna elettorale si sono presentati come alleati. E che tali sono, tra una congiuntura e l’altra, da quasi trent’anni.
Da che dipendono allora certi allarmismi mediatici? Perché c’è chi ogni giorno si chiede quanto questo governo – diviso su tutto, come si racconta – possa ancora durare? 
Da un lato agisce l’interesse (legittimo) dei suoi avversari politico-giornalistici. Per loro, che se questo governo cadesse non saprebbero peraltro come sostituirlo, ogni diversità di veduta è una rissa interna che preclude alla rottura. 

Ogni accenno di polemica, la prova che l’esecutivo sta per implodere. Ogni contrasto tra personalità e leader, una lotta all’ultimo sangue.


Diciamo che fa parte del gioco e del modo con cui si racconta ormai da anni la politica italiana: puntando sulle indiscrezioni, sui retroscena, sulle fonti anonime, sulla drammatizzazione delle virgole e dei timbri di voce, sul complottismo da bar sport. Un tempo i lettori si divertivano con questo modo di fare informazione, oggi - vuoi la pandemia, vuoi la guerra, vuoi la crisi economica - l’impressione è che la trovino noiosa e inutile. 
Anzi, dannosa per il Paese. A chi giova, se non ai competitori dell’Italia, descriverla quotidianamente agli occhi degli osservatori internazionali come sull’orlo del caos, con un governo che potrebbe sfasciarsi da un momento all’altro, composto da incompetenti che litigano sempre su tutto? Quando l’informazione o l’opposizione politica inseguono solo i loro fantasmi si scivola fatalmente nella propaganda.


Dall’altro opera invece la disabitudine rispetto a ciò che è la fisiologia della lotta politica. Veniamo da anni di governi tecnici, pseudo-burocratici, di larghe intese, di salvezza nazionale, di emergenza, del Presidente, insomma di unità coatta tra forze politiche sulla carta avversarie e inconciliabili. Ci siamo dunque disabituati alla normalità di una maggioranza che si forma in Parlamento sulla base delle scelte operate dagli elettori nelle urne. E che per essere composta da partiti al tempo stesso diversi ma tra loro sufficientemente coerenti, che stanno insieme per ragioni politiche non perché costretti dagli eventi o dalla convenienza momentanea, ha inevitabilmente una sua dialettica interna. 


Ci si ricorda quando Berlusconi sosteneva un esecutivo guidato dal Pd, quando Renzi governava con i transfughi di Forza Italia, quando leghisti e grillini ovvero democratici e grillini stavano insieme a Palazzo Chigi, quando Salvini e Letta si davano la mano in Parlamento come Nietzsche e Marx nella canzone di Venditti? Se questo è il nostro recente passato, esso sì patologico e anomalo, il problema oggi sarebbe Lucia Renzulli che fa il controcanto a Giorgia Meloni sulle accise o la Lega di Salvini che cerca di recuperare consensi a danno di Fratelli d’Italia insistendo sul regionalismo differenziato? Sarebbero questi i segnali negativi di un esecutivo che, per come alcuni lo descrivono, ha la solidità di un castello di carta? 


Chiarito questo non vogliamo nemmeno farla troppo facile. L’attuale maggioranza di centrodestra è oggettivamente una novità rispetto al recente passato, ivi compreso il proprio, quando all’interno dell’alleanza vigevano altri rapporti di forza. Oggi l’uomo forte della coalizione è una donna, il che certamente non fa molto piacere a Berlusconi e Salvini. Il partito egemone è diventato Fratelli d’Italia, che della coalizione era fino a pochi anni fa l’alleato minore. 
Già solo questo basta a giustificare malumori e fibrillazioni, specie quando si avvicinano scadenze elettorali, come è il caso delle prossime Regionali in Lazio e Lombardia, in vista delle quali ognuno cerca legittimamente di portare acqua al proprio mulino anche a scapito dei diretti alleati.

Ci sono poi le difficoltà interne dei partiti che inevitabilmente si riflettono sugli assetti complessivi. Ci sono infine le discussioni e le diverse vedute sui singoli provvedimenti del governo, tanto più difficili da adottare quando si è costretti ad operare in situazioni complesse di politica internazionale, avendo risorse finanziarie scarse, dovendo rispettare gli stringenti vincoli europei, ecc. Ma ancora una volta: si può confondere un percorso naturalmente accidentato con un burrone nel quale si è destinati a precipitare?


Quando questo governo ha esordito si immaginò che sarebbe andato in poche settimane allo scontro con l’Europa. Oggi, dopo che il realismo da governo s’è mangiato il populismo da campagna elettorale, non è del tutto da escludere, per come stanno cambiando i rapporti di forza politici anche all’interno dell’Unione, che il prossimo anno alla storica alleanza tra socialisti e popolari possa subentrarne una tra questi ultimi e i conservatori guidati proprio dalla Meloni. Uno scenario che sarebbe non solo storico, ma - diciamolo - divertente assai alla luce soprattutto di quel che stiamo leggendo in questi giorni su un governo che, secondo i suoi implacabili detrattori, non dovrebbe arrivare all’estate, figuriamoci alla fine della legislatura.

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