Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

L’Italia divisa/ Gli obiettivi da precisare per i fondi del Pnrr

di Gianfranco Viesti
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Mercoledì 22 Settembre 2021, 00:36

Il successo del Piano di ripresa e resilienza dipenderà da molte condizioni. Fra di esse, una sembra particolarmente importante, anche se poco presente nella discussione politica e pubblica in generale: la capacità del Piano di indirizzare le proprie risorse in tutti i territori del nostro Paese, in modo da favorire ovunque processi di rafforzamento sociale e di sviluppo economico. 

Al di là della sostenuta e benvenuta ripresa congiunturale di questi mesi, l’economia italiana dovrebbe riuscire a registrare per l’intero decennio tassi di crescita ben più alti di quelli del passato; ma per raggiungere questo obiettivo non si può certo contare sull’ipotetico, non verificato, effetto di traino di qualche città o provincia più forte: i livelli di produttività e i tassi di occupazione devono crescere in tutta Italia. Specie dove sono più bassi, o le tendenze recenti sono più preoccupanti: come nel Mezzogiorno o in non piccole parti del Centro e anche del Nord-Ovest caratterizzate da andamenti economici piuttosto negativi negli anni Dieci. Ora, per la sua stessa genesi e per la sua impostazione, il Piano di Rilancio interviene per linee settoriali; sono relativamente rari (al di là degli interventi sulle reti ferroviarie) i casi in cui i progetti di investimento sono individuati e localizzati con precisione.

In ben 122 delle 187 linee di investimento che è possibile contare nel Piano manca qualsiasi riferimento, anche di massima, all’allocazione geografica degli investimenti. Come noto, il Governo si impegna nel Piano a destinare il 40% del totale, cioè circa 82 miliardi, al Mezzogiorno. 
Ma alla lettura del testo del documento (che è quello che conta, dato che forma l’impegno giuridico del nostro Paese con Bruxelles), come messo in luce il 6 luglio su queste colonne, queste cifre non si ritrovano come somma di precise linee di investimento. Un conto è il generico indirizzo politico, un conto sono gli impegni certi. 

Non a caso il Governo si è visto costretto ad intervenire in luglio con una procedura sorprendente (un emendamento ad un suo decreto) per ribadire quel vincolo del 40% che evidentemente non era così ovvio. Il tema rimane aperto, sul tavolo.

Quel che succederà davvero dipenderà dai processi attuativi del Piano, che sono molto diversi e ancora incerti. Le linee di investimento seguono strade diverse. In pochi casi, lo si è detto, ci sono “nomi, cognomi e indirizzi” dei progetti e bisogna solo realizzarli; in altri importanti casi (come per gli incentivi 4.0 o il superbonus edilizia) le risorse andranno dove ci sarà più domanda dal settore privato; in altri ancora (come nel caso dei servizi sanitari o della giustizia) ci dovrebbero essere documenti nazionali con criteri di riparto territoriali. 
Ma in molti casi, e questo è il punto importante e di cui si vuole parlare, le amministrazioni centrali predisporranno dei bandi di gara, a cui saranno chiamati a partecipare i territori attraverso le loro amministrazioni locali. L’esito dei bandi determinerà l’allocazione territoriale dei fondi. È ciò che avverrà per molte importanti infrastrutture e servizi pubblici.

Ora, è del tutto chiaro che l’esito dipenderà dalle capacità delle amministrazioni locali nel predisporre progetti: sulle quali è purtroppo lecito avere non poche preoccupazioni, anche alla luce dei forti tagli di personale a cui sono state soggette nell’ultimo decennio.

Il timore è che si dia per scontato che le amministrazioni comunali saranno in grado di impiegare (progettando, appaltando, costruendo, mettendo in funzione) gli oltre 70 miliardi di investimenti pubblici che il Piano destina loro; e che quindi si finisca con il privilegiare i “progetti cantierabili”, quali e dove essi siano, o le amministrazioni più dotate dei territori più forti.

Ma l’esito dei bandi, ed eccoci al punto, dipende anche dai criteri che essi prevedono. E come ricordato ieri su questo giornale, non si parte bene. Il bando, a valere su risorse del Piano, per i nuovi asili nido è stato infatti costruito con indicatori (a cominciare dalla capacità di cofinanziamento degli enti locali) che hanno finito con il dirottare una quota rilevante dei fondi verso territori già ben forniti di strutture e servizi. 
Purtroppo, la giustissima indicazione di priorità per gli asili nido del Piano (cui destina oltre 4 miliardi) non è accompagnata nel suo testo da nessun esplicito indirizzo politico verso una riduzione delle enormi disuguaglianze fra territori in questo ambito. Il Piano indica un obiettivo medio nazionale, ma non indica alcun obiettivo specifico, concreto, misurabile, su base territoriale. Anche alla luce di questa grave mancanza, l’esito del bando preoccupa.

Come ben sappiamo, il nostro futuro per molti versi è legato ad una realizzazione di successo del Piano. Ma il successo non dipenderà solo dalla quantità di spesa, ma anche e soprattutto dalla qualità degli investimenti e dalla loro allocazione geografica. Nei prossimi mesi l’attuazione procederà, tutti ci auguriamo, spedita: anche per rispettare gli impegni con la Commissione e ottenere nuove tranche di pagamento. 

Sarà essenziale allora, monitorare con la massima attenzione i concreti provvedimenti, i piani nazionali, i bandi e i loro criteri; sollecitare l’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica in generale. Non sarà affatto facile, sia per l’enorme estensione tematica del Piano e le sue complesse e diversificate modalità attuative, di cui si è detto, sia perché più che denunciare e lamentarsi per gli esiti, occorrerà essere capaci di discutere ed intervenire prima che i processi si mettano in moto. 

Sarà importante un atteggiamento d’insieme: si può aiutare il Governo ad avere successo non plaudendo aprioristicamente ad ogni sua iniziativa, ma con una partecipazione attenta, contribuendo ad individuare nodi e problemi, criticando le scelte (come quelle per gli asili nido) che si ritengono errate.
 

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