Mario Ajello
Mario Ajello

La ricorrenza/ La Repubblica in movimento che non deve rallentare

di Mario Ajello
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Giovedì 2 Giugno 2022, 00:04

In una situazione di nuova guerra calda e fredda, la giusta postura dell’Italia, la sua serietà e affidabilità verso se stessa e agli occhi del mondo, la capacità nazionale di stare uniti dando il meglio e non il peggio di noi - come il 2 giugno ci ha insegnato facendoci vivere le diversità in un format privo di eccessive lacerazioni perfino quando impazzavano le ideologie - sono la base e la bussola che servono. «Il 2 giugno è stato il miracolo della ragione», come scrisse a ridosso del ‘46 Piero Calamandrei. Ecco, guai a dimenticarlo e adesso più che mai quella lezione, e gli sviluppi che ha avuto quella data fondativa, non solo non vanno banalizzati o annegati nella retorica ma occorre collegarli con realismo ed estrema lucidità al particolare momento storico che stiamo vivendo. Serve un surplus di patriottismo oggi e proprio il 2 giugno ‘46 è nato il cosiddetto «patriottismo repubblicano». Che cos’è? 

E’ quello che ha creato la nuova Italia dopo la seconda guerra mondiale. Che ha reso possibile la Ricostruzione (quella fase è aggiornabile così secondo le parole di Mattarella ieri: «Fare le riforme, non dissipare l’opportunità del Pnrr»). Che ci ha collocati dalla parte giusta della storia e del mondo con una netta scelta occidentale ed europeista, nel segno di una pace che sembrava perpetua. E’ questo «patriottismo repubblicano» la chiave del futuro. A meno che non venga pasticciato, confuso, dissipato,negato dai comportamenti irresponsabili di certi politici e dei media che spettacolarizzano tutto e giocano sui protagonismi del circo nazionale senza curarsi troppo dei veri interessi nazionali.

«Patriottismo repubblicano» significa vincolo e reciproco riconoscimento tra Palazzo e Paese, rigore nel rispetto della propria collocazione geopolitica (noi cominciavamo le guerre schierati da una parte e le finivamo schierati da un’altra), ossequio alle regole istituzionali nel senso di non superare i limiti delle proprie competenze (s’è mai visto il segretario di un partito di governo che agisce in solitaria rispetto al premier e in dissenso dalla linea del premier?) da parte di leader e di partiti che così facendo mettono disordine e danno all’Italia un’immagine di scompostezza sia interna sia a livello internazionale. 

Il passaggio storico del 2 giugno, e la maniera con cui si è saputo valorizzarlo attraverso tanti decenni strapieni di tensioni e di momenti in cui l’Italia sembrava collassare (dal terrorismo ai terremoti, alla crisi economica alla pandemia) ma si è sempre rialzata, ha dato uno standing e una credibilità a questa nazione, inserendola a pieno titolo nell’Europa che conta.

Questo patrimonio da Italia e non da Italietta va rilanciato con molta attenzione. Senza dare l’impressione che siamo un Paese poroso e influenzabile. Strappare la ricetta vincente, per inseguire convenienze di piccolo cabotaggio elettorale, per litigare nel Palazzo o per posizionarsi meglio sui social come se i social facessero la storia e ci si potesse fidare di loro, è insomma un errore anti-patriottico. L’Italia è solida ma sono particolarmente pericolosi i rischi dovuti a una classe dirigente, sia di destra sia di sinistra e si vedano in proposito tutti i niet pretestuosi dei grillini, non consapevole dell’importanza di questo frangente per la vita, l’alimentazione, il lavoro degli italiani al tempo del conflitto russo-ucraino che non è localizzabile solo a Kiev e dintorni. 

2 giugno 2022 significa allora essere all’altezza della storia da cui proveniamo e dovrebbe significare uno sforzo in più per la classe dirigente a saper essere tale, migliorando la propria qualità invece di degradarsi e di degradare il contesto generale di un Paese ricco di potenzialità, voglioso di avvenire e irriducibile ai colpi di coda del populismo tra scioperi (quello dell’altro giorno sulla scuola è stato un tuffo nell’archeologia), redditi di cittadinanza, conservatorismi e corporativismi e altro bla bla paralizzante. Una Repubblica in movimento è stata quella varata il 2 giugno, e i partiti ne sono stati lungo il percorso gli attori principali fino a perdere ultimamente - non tutti e non sempre come è ovvio - la strada. Piantare paletti, agitare bandierine, concentrarsi sulla competizione quotidiana tra avversari e tra alleati, perdendosi il grande scenario in cui l’Italia è immersa e deve saper stare con convinzione e autorevolezza, è l’opposto di un «miracolo della ragione» ed è ciò che non possiamo assolutamente permetterci.

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