Approda oggi in Consiglio dei ministri l’autonomia differenziata, un disegno di legge che introduce, o meglio amplia, la possibilità che le regioni italiane possano dotarsi di competenze legislative diverse e, di conseguenza, il principio per cui territori diversi possono viaggiare a velocità diverse. Non è una questione certamente nuova. Se ne parla dal 2001, quando la riforma costituzionale del centrosinistra introdusse il comma terzo all’articolo 116. E, in fin dei conti, anche la Costituzione del 1948 prevedeva autonomia differenziata, distinguendo tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. Tuttavia, il tema è regolarmente all’ordine del giorno e ha conquistato l’interesse dell’opinione pubblica a partire dal 2017, quando Veneto e Lombardia tennero due referendum regionali per chiedere maggiori autonomia e risorse suoi loro territori. Una farsa, dal punto di vista costituzionale, in quanto inutili all’iter della richiesta e fuorvianti per gli elettori. Le due regioni, insieme all’Emilia-Romagna, ottennero anche la firma di specifiche pre-intese col Governo. Ma quello che sembrava il preludio a una nuova stagione del federalismo italiano si arenò nel corso della XVIII legislatura. Salvo, appunto, tornare all’ordine del giorno con i diversi schemi di disegno di legge proposti dall’attuale ministro competente, Roberto Calderoli.
La questione è notissima ai lettori de Il Messaggero, che, grazie ai numerosi editoriali, inchieste e approfondimenti, conoscono e riconoscono bene quali siano rischi e pericoli di una proposta spesso più preoccupata di soddisfare un certo elettorato che orientata a valorizzare il benessere dei cittadini italiani.
Ma la sintesi che sarà raggiunta oggi in Consiglio dei ministri preoccupa più per un altro aspetto, forse più sottile ma di enorme importanza strategica. In questi stessi giorni, in Europa, si giocano partite differenti, che vanno dal coordinamento sulle politiche migratorie alla definizione di una politica di bilancio comune. In tale contesto la posizione del governo sposa un principio diametralmente opposto a quello tenuto internamente. Vale a dire il contrasto al sovranismo di alcuni Paesi, in particolare la Germania. Il che è quasi un paradosso. L’Italia è infatti un Paese costituzionalmente unitario, uno stato regionale ma non certo federalista: eppure oggi si parla addirittura di federalismo differenziato. L’Europa, invece, una federazione lo è già e lo è davvero. Le richieste del governo Meloni in Europa sono totalmente condivisibili, sia chiaro: ma è facile scommettere che le cancellerie europee, in particolare quelle dei cosiddetti “Paesi falchi” come Olanda e Germania, metteranno sul piatto della contrattazione europea la posizione italiana in tema di federalismo differenziato. Una grana risolta sul versante interno potrebbe quindi creare problemi ben maggiori oltre i confini nazionali. Chissà se ne vale davvero la pena.
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