Giuseppe Vegas
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Verso le Europee/La scelta dei migliori da mandare a Bruxelles

di Giuseppe Vegas
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Sabato 3 Giugno 2023, 23:52 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 21:51

Il 9 giugno 2024 si svolgeranno le prossime elezioni europee. Manca un anno. Sembra tanto tempo, ma è anche poco. Nel frattempo, i partiti stanno scaldando i motori: i segnali cominciano ad essere evidenti. Per tutti, maggioranza e opposizione, il voto dell’anno prossimo è l’occasione per una verifica dei risultati delle elezioni dello scorso anno. 
Ma c’è anche la possibilità che dalle urne esca un nuovo assetto di comando a Bruxelles, stante il vento che da mesi spira in Europa. Proprio per questo i partiti dovrebbero fermarsi almeno un attimo a riflettere su un problema, a cui non è estranea la disaffezione per le urne dimostrata, da ultimo, in occasione delle elezioni locali della scorsa settimana. E la questione non è solo politica.


Se è vero che possono servire a verificare la forza dei partiti nel tempo, d’altra parte le elezioni europee servono a scegliere i futuri deputati destinati all’Europarlamento, cui sarà affidato il gravoso compito di dipanare questioni che segneranno per lunghi anni la nostra vita. Ecco perché è indispensabile riflettere sul metodo di selezione, in particolare su quello adottato in Italia sin dalle prime elezioni del 1979.


Un sistema che, per le sue peculiari caratteristiche, non sembra esattamente disegnato per fornire al Paese i migliori strumenti possibili per indirizzare efficacemente l’azione delle istituzioni europee.
In merito, occorre spendere qualche parola. In base alla normativa europea, tutti i Paesi adottano un sistema di rappresentanza proporzionale, cioè che garantisce la presenza nel Parlamento europeo di deputati di tutti i partiti sulla base della percentuale di voti ottenuti da ciascuna forza politica rispetto al totale dei voti espressi. Si tratta di un metodo pensato per dare voce a tutte le opinioni ed è il più consono per un Parlamento che non dispone del potere di esprimere direttamente il governo del nostro Continente.

Per il resto, ogni Stato ha scelto il sistema ritenuto più adatto. In genere si è preferito adottare un collegio unico nazionale, con una o più circoscrizioni al suo interno. Ad esempio, in Germania ogni partito presenta una lista unica bloccata per tutto il territorio nazionale. Il che significa che risulteranno eletti i candidati decisi direttamente a Berlino dai partiti e nell’ordine di iscrizione nella lista. Certo si tratta di una scelta verticistica, che se toglie voce alle rappresentanze locali, tuttavia, bene o male, cerca di individuare le persone più rappresentative e competenti a livello nazionale. Quanto all’Italia, dove si eleggono 73 dei 705 deputati destinati al Parlamento europeo, tra le centinaia di sistemi elettorali possibili, ne è stato scelto uno nuovo.

Diverso anche da quelli adottati per le Camere, le Regioni ed i Comuni: un sistema proporzionale, con voto di preferenza sulla base di collegi elettorali di grandissime dimensioni.

Come è noto, il sistema del voto di preferenza, se da una parte dà all’elettore la soddisfazione di poter scegliere la persona che si accinge a votare, comporta almeno due inconvenienti. Il primo è che genera un meccanismo alquanto costoso per chi affronta le elezioni. Il candidato si deve far conoscere, deve essere presente sulla stampa, in televisione e sui social; deve organizzare incontri pubblici e occasioni di intrattenimento, visitare le sedi locali del partito, viaggiare in lungo e in largo per tutto il collegio; non può fare a meno di un ufficio e di collaboratori. Insomma, tutte cose che costano. E i partiti non dispongono più oggi legalmente di risorse adeguate.

 
In aggiunta, se questa circostanza vale per i collegi di ordinarie dimensioni, una o due province o qualche quartiere di una grande città, essa diventa drammatica quando, come accade da noi, i collegi elettorali per le elezioni europee sono solo cinque e mastodontici: Nordovest, con 16 milioni di abitanti, Nordest, 11 milioni e mezzo, Centro, 12 milioni, Meridione, 14 milioni, e Isole, 6 milioni e mezzo. Con l’aggravante, per quest’ultima circoscrizione, che non esistono collegamenti diretti tra Sicilia e Sardegna. Ovviamente pochi sono in grado di affrontare spese di questo tipo e non sempre si trovano finanziatori adeguati.

La presenza di una formidabile barriera all’entrata esclude dunque i possibili candidati in ragione non della loro capacità, ma del censo. Il secondo inconveniente è stretta conseguenza del fatto che, salvo eccezioni, risultano eletti coloro che hanno maggior dimestichezza con il meccanismo delle preferenze ed il metodo attraverso il quale ottenerle. Ciò significa che, se i prescelti saranno indiscutibilmente politici di valore, e a volte con un passato a livello nazionale, non sempre si troveranno necessariamente ad essere dotati delle qualità necessarie per poter affrontare la realtà di Bruxelles, a cominciare dalla padronanza almeno della lingua inglese.


Resta a disposizione un anno, che non è molto, per modificare almeno gli aspetti più inefficienti della legge elettorale europea in Italia, ad esempio prevedendo la suddivisione delle attuali mega-circoscrizioni in collegi uninominali più piccoli, a misura d’uomo. Non sarà una soluzione pienamente soddisfacente ma certamente rappresenta un importante passo avanti verso un sistema più efficiente.

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