Carlo Nordio
Carlo Nordio

Parola alle Camere/La sentenza sull’ergastolo per chiudere gli anni bui

Parola alle Camere/La sentenza sull’ergastolo per chiudere gli anni bui
di Carlo Nordio
4 Minuti di Lettura
Venerdì 16 Aprile 2021, 01:56 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 03:11

La sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’ergastolo ostativo incompatibile con la nostra Carta fondamentale, può essere letta sotto tre profili: quello giuridico, quello politico e quello storico. 
Primo profilo. Per il lettore digiuno di giuridichese, detta in termini accessibili, la norma incriminata vieta la concessione di alcuni benefici, come la liberazione condizionale, a persone condannate all’ergastolo per reati di criminalità organizzata che non abbiano collaborato con la giustizia. A prima vista, potrebbe anche sembrare ovvio: se sei un mafioso, finché non collabori dimostri di essere ancora inserito nella consorteria, non ti sei “risocializzato”, e quindi devi scontare la pena per intero. 


Ma le cose non sono così semplici. Ad esempio un ergastolano, dopo trent’anni di carcere, può benissimo essere pronto a rientrare, magari gradualmente, nella società civile senza essere pericoloso, ma non vuole che, collaborando, questo pericolo lo corrano i suoi familiari, sui quali l’organizzazione potrebbe vendicarsi.
Oppure teme che, vuotando il sacco, debba rivelare altri reati commessi a suo tempo, e quindi aggravare, anziché alleggerire, la propria posizione. Insomma si rifiuta di collaborare non per complicità, ma per timore. E poiché la nostra Costituzione dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e l’ordinamento penitenziario prevede la liberazione condizionale per tutti gli ergastolani che si siano comportati bene, il requisito della “collaborazione” è illogico, iniquo e discriminatorio: la decisione della Consulta è dunque benvenuta. 


Secondo profilo, quello politico. Dallo stringato comunicato stampa par di capire che la Corte ritiene che l’eliminazione tout court di questa norma potrebbe determinare una «inadeguatezza di contrasto alla criminalità organizzata», e quindi concede al Parlamento un anno di tempo per provvedere. Da modestissimo giurista ammetto di non comprendere se la sentenza abbia dunque effetto immediato, o se l’ergastolo ostativo resti in vigore - malgrado la sua illegittimità costituzionale – fino allo scader del termine concesso al legislatore: non ci resta che attendere le motivazioni della sentenza. 


Ma l’aspetto che qui ci interessa è appunto quello politico, che già abbiamo commentato in occasione di una sentenza analoga sulla legge cosiddetta del fine vita.

Poiché la Corte non ha il potere di creare una legge (anche se di fatto talvolta si è sostituita al Parlamento) ma soltanto di confermarla o abrogarla, ora si pone il problema di come disciplinare il vuoto di tutela normativo che la sua pronunzia ha provocato: e poiché ci sono materie dove questo vuoto è pericoloso, la Corte accede al compromesso di lavorare, per così dire, a metà. Dice cioè al legislatore: attenzione, io posso andare - come rispose il Signore a Giobbe - sin qui e non oltre. Ma oltre questo limite devi pensarci tu, e devi farlo presto. 


Il fatto è che il nostro Parlamento fa orecchie da mercante. Non trovando, su queste materie delicatissime, un indirizzo concorde e una soluzione condivisa, traccheggia, indugia e rinvia. In attesa magari che la stessa Corte, vistasi inascoltata e perduta la pazienza, intervenga con la clava là dove sarebbe stato necessario usare il bisturi. 
Terzo profilo, quello storico. Sarà forse il meno determinante, ma è quello più significativo. Perché dai tempi del terrorismo la nostra legislazione penale, procedurale e penitenziaria è stata caratterizzata da provvedimenti cosiddetti emergenziali, alcuni dei quali germinati sull’onda emotiva di un’opinione pubblica impaurita ed esasperata, ma in stridente conflitto con ogni principio umano e divino di giustizia e di equilibrio: dal fermo di polizia degli anni ‘70 fino, appunto, all’obbrobrio dell’ergastolo ostativo. 


Da un punto di vista tecnico, la situazione è stata aggravata dall’alternarsi di queste norme di estremo rigore con rare parentesi di irenismo indulgenziale. Con il risultato che il sistema è diventato un enigma avvolto in un indovinello dentro un mistero, dove nessuno capisce più nulla. 
Ora questa sentenza sembra segnare un indirizzo definitivo. Osando infrangere il tabù della “lotta alla mafia” condotta con qualsiasi mezzo, la Corte sembra privilegiare il diritto inalienabile della dignità e quello umano della speranza rispetto alle vociferanti istanze giustizialiste e forcaiole. È un messaggio forte per chiudere un periodo che dura da mezzo secolo. Sempre che il legislatore non intenda tenerlo ancora aperto, perché non riesce a trovare una soluzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA