Francesco Grillo
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Il voto nei Comuni/ Le garanzie che servono per governare una città

di Francesco Grillo
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Martedì 7 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:03

È inferiore a tremila euro lo stipendio netto mensile del sindaco di città importanti come Trieste o come Salerno, che vanno al voto tra poche settimane (quello dei primi cittadini di Roma o di Milano arriva a quasi ottomila euro lordi, un livello che è, comunque, del 50% più basso delle indennità percepite da uno qualsiasi dei mille consiglieri che eleggiamo per governare le Regioni). 

I sindaci sono, però, caricati da responsabilità così ingenti che per molti difendersi in tribunale è l’attività che consuma più tempo. Ai Comuni, che sono il primo terminale dello Stato nel rapporto con i cittadini, vanno meno di un decimo delle risorse che lo Stato dedica al proprio funzionamento ed è una percentuale che sta progressivamente diminuendo. 

Molto frammentati sono i poteri per poter rispondere a sfide come quelle della transizione ecologica che si gioca – soprattutto – per territorio e, però, arcaica è la stessa articolazione degli enti locali visto che sono 5.500 su 8.000 le amministrazioni comunali con meno di 5.000 abitanti.

Mentre la campagna elettorale entra nelle sue settimane più infuocate sono questi i numeri che dicono che oltre al confronto tra candidati, è urgente una riforma nella quale tutti i sindaci, a prescindere dalle appartenenze politiche, possono riconoscersi.

Sono ventidue i coraggiosi che si candidano a diventare sindaco di una città come Roma, che è gravata da un debito che negli anni ha superato i 10 miliardi di euro. A sostenerli ci sono 39 liste e 1800 aspiranti consiglieri comunali. A Milano i candidati sono 13 e le liste 28. Poche sono le donne con reali possibilità di successo ed è ancora la politica locale - con solo tre sindache nei 45 comuni italiani con più d 100 mila abitanti – a dire che la modernità fa fatica ancora ad entrare nella pancia della società italiana. 

Le prossime elezioni amministrative, che coinvolgono 12 milioni di elettori, confermano che è a livello locale che la democrazia è ancora forte. Ancora di più se si considera che essere amministratore locale significa avere sempre più oneri con risorse, al contrario, sempre inferiori. 

Nel 2019, subito prima della pandemia, ai Comuni arrivavano meno di 63 miliardi di euro che è meno dei 67 che spendevano dieci anni fa (la riduzione è più netta se tenessimo conto dell’inflazione). È vero che negli anni c’è stata una stretta della spesa pubblica e però nello stesso periodo i numeri Istat dicono che la spesa delle Regioni e quella delle amministrazioni centrali è cresciuta. Crescono tuttavia le aspettative che travolgono i sindaci. Aumentano i bisogni tradizionali di assistenza rispetto a crisi come quella sanitaria, che esige un rapporto capillare con le persone più fragili. 

Ma si fanno più urgenti anche le esigenze nuove di sperimentare innovazioni che ci traghettino verso nuove forme di mobilità, riscaldamento delle abitazioni, illuminazione delle strade, organizzazione del ciclo dei rifiuti. Il futuro passa, letteralmente, per le strade delle città, ma i sindaci sembrano come intrappolati da una contraddizione gigantesca. Ad essa si risponde con un’agenda nella quale non possono che ritrovarsi tutti: maggiori risorse e responsabilità più chiare; energico spostamento dalla logica degli adempimenti formali a quella dei risultati; riorganizzazione nel numero stesso di enti locali e dei livelli nei quali si articola uno Stato che provi a rispondere alle complessità di un secolo nuovo.

In primo luogo, dunque, più possibilità finanziarie.

Il Piano Nazionale di Resilienza e Rilancio (Pnrr) alloca – secondo un’analisi del “Think tank vision” – ben 36 miliardi di euro a 26 progetti che citano i Comuni, le Città metropolitane e l’Anci tra i soggetti attuatori. Manca, però, una regia complessiva necessaria – soprattutto - per estrarre dagli interventi che verranno finanziati la conoscenza necessaria a rendere ordinaria, sistematica la trasformazione che nelle città verrà sperimentata. 

Indispensabile sarà dotarsi, perlomeno, di un comitato interministeriale con la struttura tecnica (non basteranno i soliti ingegneri ed economisti) responsabile dei fondi del Pnrr (e di due miliardi di fondi strutturali che la Commissione Europea dedica all’innovazione nelle città per il periodo 2021 - 2025) capace di inserire le metropoli italiane in un contesto di competizione e imitazione che supera i confini della stessa Europa. 

In secondo luogo fanno bene i sindaci a chiedere – con una sola voce – la revisione di un sistema che porta all’incriminazione di un primo cittadino anche nel caso in cui si chiuda male la porta di un edificio scolastico sulle dita di un adolescente.

Tuttavia, è l’intero sistema di funzionamento dell’amministrazione e degli appalti che va rovesciato. Ciò che conta deve diventare solo il risultato. Misurato da pochi indicatori che gli stessi cittadini possano verificare e dal quale devono cominciare a dipendere premi, carriere, garanzie contrattuali. Stessa logica dovrebbe, del resto, applicarsi all’universo delle aziende municipalizzate e ai loro dirigenti da pagare in funzione di pochi e chiari indicatori.

Infine, è la stessa struttura dello Stato a dover essere ripensata. A fronte di più risorse e poteri, gli enti locali devono accettare l’idea di buon senso che la dimensione minima di un Comune non possa scendere sotto i 5000 abitanti. Più della metà dei Comuni italiani servono meno di 3000 cittadini e lo fanno con una squadra composta da un sindaco e due assessori (circondati da dieci consiglieri). 

In uno Stato che decida di adattarsi ad un secolo così veloce dovrebbero contare solo l’amministrazione centrale e quelle locali: queste ultime possono e devono decidere di aggregarsi, in maniera flessibile, per collocare al livello più efficiente la gestione di politiche pubbliche e servizi pubblici. Comuni più forti potrebbero, infine, chiedere quello che gli spetta da decenni: una capacità di dialogo con l’Unione Europea non più intermediata dalle Regioni.

Sono le elezioni locali a dimostrare che esiste ancora una domanda di partecipazione molto diffusa e confusa. È indispensabile non disperderla, armando i sindaci del potere e delle risorse per poter diventare i ricostruttori di un patto sociale che si è logorato.
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