Romano Prodi
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Alleanze in bilico/Il compromesso inevitabile e le distanze da superare

di Romano Prodi
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Sabato 6 Agosto 2022, 23:57 - Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 22:51

Non so se tutti coloro che hanno provocato la crisi del governo Draghi ne abbiano previsto le conseguenze per l’Italia e per il proprio partito. È tuttavia certo che nessuno dei killer si è premurato di riflettere sulle possibili reazioni dei partiti concorrenti e sul processo di scomposizione e ricomposizione che l’improvvisa crisi avrebbe provocato.

È quindi comprensibile (anche se non gradevole) che i primi giorni di questa campagna elettorale siano stati quasi interamente dedicati a ricomporre l’attuale puzzle politico, lasciando solo uno spazio marginale all’elaborazione di programmi compatibili con una coerente strategia di governo.


Un contributo ad un inizio così scombinato della campagna elettorale è evidentemente aggiunto dalla legge in vigore che, con la sua commistione fra proporzionale ed uninominale, da un lato spinge a creare coalizioni e, dall’altro, finisce con esaltare l’identità e l’individualità dei partiti in competizione.
Bisogna inoltre tenere conto che una campagna elettorale così breve rende più difficile la necessaria composizione degli obiettivi e degli interessi.


In questo quadro sembra essere favorita, almeno temporaneamente, la coalizione di centrodestra, nella quale lo schema di riferimento è oggi fornito dall’unico partito che si era ferocemente opposto al governo Draghi e le divergenze si concentrano su chi debba essere Primo ministro dopo l’eventuale vittoria elettorale. Le elaborazioni sul programma comune vengono inoltre messe in secondo piano dal fatto che, nel centrodestra, il partito di gran lunga più forte nei sondaggi (Fratelli d’Italia) ha rinnegato le proprie posizioni e i propri comportamenti del passato per adottare gli schemi di riferimento del partito (Forza Italia) che proprio Fratelli d’Italia è riuscito a frammentare e a emarginare con il voto contrario al governo Draghi.


Orban non esiste più, c’è anche un’Unione Europea buona e i passati proclami gridati in Italia e in Spagna sono un ricordo storico. In questo quadro Crosetto è incaricato di assicurare gli elettori che, in fondo, la nuova alleanza è più o meno una riedizione della vecchia Democrazia Cristiana. Cancellare il passato e non preparare il programma per il futuro appare quindi l’esercizio più facile ed elettoralmente più profittevole, tenuto anche conto della breve durata della campagna. 


Più complesso è, almeno al presente, il lavoro della coalizione di centrosinistra, che parte da sondaggi più sfavorevoli, da una struttura più articolata e da una situazione di “stato nascente” che deve essere organizzata mentre la campagna elettorale già inizia. Una coalizione che deve partire da una convergenza fra il Partito Democratico, che con Enrico Letta ha ritrovato una sostanziale unità, e una realtà più recente, guidata da un leader, come Carlo Calenda, che vede il proprio successo nell’occupare soprattutto lo spazio di centro della coalizione e, in futuro, nel togliere voti alla destra.

L’accordo è stato infine trovato: sui grandi temi di politica estera, sui legami con l’Europa e sul futuro dell’economia le divergenze sono infatti minori di quelle esistenti nel campo avverso o nelle altre coalizioni che governano i Paesi europei. 


Una lettura accurata dell’accordo fra Pd e Azione/+Europa ne è una conferma. Non è inoltre da trascurare il fatto che, essendo entrambi i leader lontani da una formazione settaria, hanno sempre contenuto le naturali diversità nel reciproco rispetto. Il vero problema è che, per recuperare lo svantaggio presente, è necessario allargare quanto più è possibile la coalizione. Su questo punto divergono gli obiettivi politici. Calenda teme che un’apertura ai partiti più intransigenti della sinistra possa danneggiare il profilo politico di Azione e Letta pensa invece che una sconfitta oggi, aprendo la strada a cinque anni di governo nazional-populista, provochi un danno irreparabile al futuro di tutti. 
Naturalmente queste divergenze sono facilmente componibili se il necessario atteggiamento pragmatico viene condiviso da tutti, non rinnegando le convinzioni di fondo di ognuno, ma interpretandole alla luce delle necessità del presente. Per essere concreti, l’atteggiamento nei confronti degli impianti di gassificazione non può essere lo stesso quando il gas arriva in abbondanza dai tubi e quando invece rischiamo di rimanere al freddo. 


Certo queste sono divergenze effettive, ma non certamente più profonde di quelle che dividono lo schieramento opposto. Il nostro ruolo nell’Unione Europea, nella guerra di Ucraina, nei fondamenti della politica fiscale, nello Ius Scholae per gli immigrati, nel salario minimo, nei diritti civili, nelle necessarie correzioni all’applicazione della legge del 110% e del reddito di cittadinanza, trova infatti un’esplicita convergenza nell’accordo fra Letta e Calenda. Nella formazione delle coalizioni ci troviamo comunque sempre di fronte al noto dilemma fra l’intransigenza e il compromesso che, piaccia o non piaccia, resta alla base di ogni democrazia. 


Penso che l’inevitabile compromesso possa essere facilitato da un comportamento diversificato da parte dei partiti. Nella parte proporzionale del sistema elettorale è infatti comprensibile che ognuno difenda la sua specifica identità mentre, nella parte maggioritaria, debbono essere valorizzati i fondamentali impegni comuni, a partire da quello europeo.

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