L’ampia e stabile maggioranza che sostiene il governo Meloni dovrebbe essere il miglior viatico per rendere l’attuale legislatura quella giusta per fare riforme di sistema, senza limitarsi alla gestione degli affari correnti. Di sicuro ci sono emergenze nazionali e internazionali che impegnano energie e risorse, ma la prospettiva di un esecutivo duraturo che guardi oltre l’orticello dell’ordinaria amministrazione e tenti di passare alla storia per qualche suo poderoso intervento strutturale non appare affatto lontana dalla realtà.
Di fronte a queste considerazioni l’immaginazione corre al presidenzialismo o all’autonomia, capisaldi del programma elettorale delle forze di centrodestra. Per varare tali riforme quella coalizione dovrà dimostrarsi compatta e un ragionevole auspicio sarebbe quello di un percorso inclusivo anche nei riguardi delle opposizioni, individuando punti di compromesso per impedire che la Costituzione venga modificata a colpi di maggioranza e subisca alterazioni figlie di una prevaricazione degli uni sugli altri. Tale approccio di condivisione e corresponsabilità dovrebbe essere a maggior ragione coltivato nel campo dell’informazione, che è un bene pubblico da maneggiare con cura guardando all’interesse generale, senza considerazioni di parte né torsioni ideologiche. L’informazione è dei cittadini, a prescindere dalle idee politiche e dalle opinioni personali ed è un ingrediente fondamentale della vita democratica, senza la quale essa si svilisce e risulta degradata a semplice procedura.
Nel marzo 2019 il primo governo Conte, con la regia del Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi e dell’allora sottosegretario Vito Crimi, varò gli Stati generali dell’editoria, che servirono a mettere in fila le priorità del mondo dell’informazione, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori di produzione e distribuzione dei contenuti editoriali. La pervicace ostilità che il Movimento 5Stelle nutriva all’epoca nei confronti dell’informazione tradizionale, in particolare verso l’Ordine dei giornalisti, non impedì a quelle “assise a puntate” di soddisfare almeno in parte le aspettative della vigilia, cioè di mettere a fuoco punti di forza ed elementi di debolezza dei diversi ambiti dell’informazione e di prefigurare qualche intervento riequilibratore.
I governi successivi, anche per colpa della pandemia, hanno accantonato quel progetto e indirizzato larga parte delle loro premure verso i sostegni economici all’editoria, per valorizzare l’informazione di qualità e assicurare ai cittadini il soddisfacimento del diritto ad essere informati correttamente dai media tradizionali e da quelli on-line certificati e gestiti professionalmente. Tutto il resto è rimasto sullo sfondo perché la doverosa enfasi sul tema risorse ha impedito un ragionamento complessivo e di scenario sull’intera filiera, che va dai produttori ai consumatori di contenuti informativi, passando per le piattaforme web e social.
L’emergenza infodemia, tradottasi nella circolazione virale di contenuti falsi e fuorvianti, ha impegnato assiduamente giornalisti, editori e colossi del web nei problematici tentativi di marginalizzazione delle fake news, affinché le notizie riconducibili a fonti istituzionali fossero più facilmente riconoscibili in Rete e concorressero in maniera decisiva alla formazione di opinioni consapevoli ed equilibrate. I più vulnerabili alle fake news sono gli utenti distratti o sprovveduti, che si sentono padroni della loro identità digitale ma poi diventano facile preda dei manipolatori di professione.
Ecco perché è ora di ripartire dalla qualità, che deve diventare la parola chiave di una rinnovata agenda per l’editoria. Se tutti gli attori della filiera rinunceranno al tiro alla fune e punteranno, con spirito concertativo, a rafforzare il bene dell’informazione di pubblica utilità mettendo in campo competenze, idee innovative e approccio inclusivo, a beneficiarne sarà l’intero sistema. Le risorse finanziarie non sono tutto. Occorre che vengano spese bene ed è indispensabile combattere fenomeni come la pirateria, che vampirizzano il settore dell’informazione riducendone la competitività. La corretta applicazione delle nuove regole in materia di copyright sulle opere giornalistiche può essere in questo senso un punto di svolta per affermare, nella trasparenza, nella legalità e nella responsabilità, un nuovo modello di business editoriale fondato sulle professionalità e la qualità. Senza rendite di posizione per nessuno, ma con equilibri di mercato fondati sul merito e sulla costruzione di una fiducia reciproca tra mezzi d’informazione e cittadini.
*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano
e alla Lumsa di Roma