Mario Ajello
Mario Ajello

Le scelte diverse di donne al potere

di Mario Ajello
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Venerdì 20 Gennaio 2023, 00:05

Ormai l’abdicazione al potere, per concentrarsi sulla vita privata e sulla vita appartata, sulla famiglia o su se stessi, è una tendenza che non soltanto in politica ma anche nel mondo largo delle professioni ad ogni livello - prendermi più responsabilità? Ma perché mai! Conservare il mio posto di guida? Uffa... - prende sempre più piede. 
Come se l’onere del comando superi di gran lunga l’onore di detenerlo. La rinuncia, motivata dal desiderio di stare di più e meglio con la figlia e con il proprio partner, da parte della premier neozelandese Jacinda Arden rientra in questo aspetto non banale della modernità. Per di più quando a guidare un Paese è una donna - nel caso nostro c’è Giorgia Meloni e la sua vita da donna premier parla così: mai a casa prima delle 23, continui viaggi all’estero e in qualche caso come di recente al G20 di Bali deve portare la figlia pur di stare con lei il più possibile - il peso del ruolo, per la difficoltà di conciliare la condizione di madre con quella di leader in una società poco amica del protagonismo femminile e per niente rispettosa del loro impegno e delle loro fatiche supplementari nel mondo del lavoro, grava particolarmente. Una donna leader fatica più di un collega maschio, a cui ancora (ma si spera sempre meno) viene richiesta, per antichi retaggi e abitudini culturali che vengono da lontano, una minore presenza fisica. 
E dunque, è giusto riconoscere che il gesto di rinuncia della premier neozelandese non sia del tutto immotivato e risponda a reali esigenze esistenziali e a bisogni personali comprensibili. Arden ha reso pubbliche le proprie difficoltà: «Sono troppo stanca». Ha dimostrato che il mestiere del politico non può prescindere dal fattore umano. Ha ribadito con la sua scelta che al potere non bisogna essere attaccati per forza. Ha detto che il re, anzi la regina, è nudo: nel senso che la fragilità e non il titanismo è una caratteristica della leadership (Papa Bergoglio non fa che ribadirlo quando allude a sue possibili dimissioni; per non dire di Ratzinger che ha fatto quello che ha fatto) e non è vero affatto che il potere, andreottianamente parlando, logora soltanto chi non ce l’ha. 
Di fatto, e questa è una cifra del mondo d’oggi, sembra prevalere, anche in chi ha incarichi di enorme rilievo e a prescindere dal sesso, più il piacere che il potere (mentre prima si tendeva a far coincidere le due cose). Più il “personale” che il “politico”. Più l’individualismo (e la vita propria) che la responsabilità nazionale e il servizio al Paese che ti ha chiamato a svolgerlo. 
Ma esistono doveri e uno di questi per un politico, uomo o donna che sia, è quello della resilienza: virtù a sua volta molto moderna che significa io non mi arrendo, io insisto a fare ciò che sono stato chiamato o chiamata a fare e voglio farlo come dico io finché avrò la fiducia della maggior parte degli elettori. Onorare il ruolo che ti è stato affidato non per una quota rosa o per cooptazione da parte dei maschi, ma perché hai avuto il riconoscimento come migliore da parte del tuo popolo, è un dovere laico nelle democrazie e una forma di profondo rispetto per la sovranità popolare. 
Una donna che, nonostante il contesto culturalmente avverso, non si lagna e non rinuncia, non recrimina ma sta sul pezzo, governa perché è stata scelta per fare quello e si arrampica sulle complicazioni quotidiane ma si sforza in tutti i modi di dominarle e di non farsene sovrastare, fa più femminismo pratico di tanto femminismo parolaio.

E dà una lezione di come gli squilibri di genere, che sono tanti e pesanti, anti-storici e poco sopportabili, si possono battere. Da questo punto di vista, l’Italia che si è affidata a una donna - che non pare affatto rinunciataria - non sembra, per una volta, un Paese di retroguardia ma l’opposto.

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