Luca Ricolfi
Luca Ricolfi

Lo spettro della Dad/ Le misure opportune per una scuola più sicura

di Luca Ricolfi
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Lunedì 4 Ottobre 2021, 00:00

A tre settimane dalla ripartenza delle scuole, che cosa stia succedendo nelle aule scolastiche nessuno può saperlo con certezza. E il motivo è tanto semplice quanto triste: il governo ha deciso di non attivare un monitoraggio sistematico, capace di segnalare tempestivamente le criticità. Perché, nonostante da più parti lo si sia invocato, nessun monitoraggio è stato predisposto? Poiché non riesco a credere che, alla base, ci possa essere la pura incapacità di predisporlo (per un breve periodo, l’anno scorso, ci era riuscita persino la ministra Azzolina), sono portato a pensare che esistano dei motivi sostanziali. Il primo che viene in mente è che le nostre autorità siano convinte che la vaccinazione sia sufficiente a tenere sotto controllo l’epidemia. Così si spiega anche il nulla di fatto, nelle scuole come altrove, sul controllo della qualità dell’aria. Ma è fondato questo approccio? Temo di no, e provo a spiegare perché. Controllare un’epidemia non può significare semplicemente tenere basso il numero dei morti, obiettivo da cui peraltro siamo ancora lontani (al ritmo attuale il conto è di 20 mila morti l’anno), ma significa anche limitare il rischio di infezione.

Infezione che, anche quando non conduce alla morte, può comportare malattia e danni alla salute più o meno duraturi (il cosiddetto long-Covid). Ebbene, ormai esiste un’ampia evidenza empirica sia del fatto che i vaccini proteggono poco dal rischio di infezione, sia del fatto che anche i vaccinati possono trasmettere il virus. Per non parlare di un altro dato ormai assodato: l’efficacia del vaccino declina rapidamente dopo 4-5 mesi dal completamento della vaccinazione. In concreto, questo vuol dire che, con la fine dell’estate e il ritorno della vita al chiuso, la velocità di circolazione del virus tenderà ad aumentare (di un fattore 4, secondo le mie stime), e diventerà quindi cruciale limitarne la diffusione negli ambienti a più alto rischio. 

Ma quali sono? Non è semplicissimo stabilirlo con esattezza, ma ormai vi sono pochi dubbi sul fatto che, dopo l’ambiente domestico, il luogo più rischioso sono le aule scolastiche. A renderle pericolose concorrono in modo cruciale la densità (troppi allievi e distanziamento insufficiente), la durata dell’esposizione (più di 4 ore), e soprattutto la mancanza quasi universale di dispositivi di controllo della qualità dell’aria (solo nella regione Marche è stato avviato un esperimento di ricambio sistematico dell’aria con la ventilazione meccanica controllata). A questi fattori di rischio strutturali si aggiunge lo scarso numero di alunni vaccinati: il vaccino esiste solo per chi ha almeno 12 anni, e fra i 12-19enni la percentuale di vaccinati è ancora troppo bassa.
Ecco perché la latitanza del governo e di quasi tutte le Regioni è inquietante.

E’ da un anno e mezzo che ingegneri e scienziati internazionali sollevano il problema della trasmissione del virus mediante aerosol, e della conseguente necessità di garantire il monitoraggio della qualità dell’aria e la ventilazione negli ambienti chiusi (vedi articoli e interviste del professor Giorgio Buonanno).

Secondo uno studio di imminente pubblicazione del fisico Mario Menichella, la rinuncia a installare dispositivi di VMC (ventilazione meccanica controllata) è sufficiente, da sola, a moltiplicare di circa un fattore 10 la circolazione del virus nelle aule scolastiche. 

E’ difficile sottovalutare l’importanza di questi risultati. Senza un controllo rigoroso della qualità dell’aria le scuole sono destinate a trasformarsi in focolai dell’epidemia, come già sta succedendo in queste settimane. E il numero di classi costrette alla Dad (didattica a distanza) non può che crescere, come già si intuisce dalle frammentarie notizie di stampa finora apparse.

Che fare, arrivati a questo punto? Intanto, direi di smetterla di proclamare «mai più Dad», o «la nostra priorità è il ritorno della didattica in presenza». Eh no, questo cari politici non potete dirlo perché, se la vostra priorità fosse stata questa, avreste affrontato per tempo i problemi delle classi troppo numerose, del ricambio dell’aria nelle aule, della saturazione dei mezzi pubblici, e mai avreste osato ipotizzare misure come l’abbandono delle mascherine «se tutti sono vaccinati», quasi che i vaccinati fossero perfettamente immunizzati e incapaci di tramettere il virus.

Però un paio di cose concrete e fattibili ci sarebbero. La prima ha un costo irrisorio (50-100 euro per classe), ed è di usare in ogni aula un dispositivo di controllo del livello dell’anidride carbonica, in modo da capire quando è assolutamente indispensabile aprire le finestre. Si può fare in una settimana. La seconda costa molto di più (4-5 mila euro per classe), ed è di varare un grande piano di installazione della VMC (ventilazione meccanica controllata) in tutte le aule di tutte le scuole. Si può fare in qualche mese, pianificando i relativi lavori per le vacanze di Natale.

Il costo totale è di circa 1,5 miliardi di euro. Su questa linea si stanno già muovendo spontaneamente alcune scuole, e almeno una Regione. Non si vede perché le loro esperienze debbano restare isolate. Sempre che non si voglia confessare, una volta per tutte, che il ritorno alla scuola in presenza non è affatto una priorità.

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