Mario Ajello
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Estate responsabile/Ma la vera battaglia non è ancora vinta

Estate responsabile/Ma la vera battaglia non è ancora vinta
di Mario Ajello
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Lunedì 17 Maggio 2021, 23:51 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 23:48

Guai a ripetersi. Guai ad assembrarsi. Guai a dimenticare. L’estate che viene, nel segno delle riaperture targate Draghi e appena decise nel consiglio dei ministri, non dovrà somigliare in nulla a quella dello scorso anno. In cui i bar (non tutti) diventavano discoteche grondanti di miasmi e di umori, i ristoranti (non tutti) si trasformavano in sudati ritrovi di spensieratezza senza verità (eravamo ancora un Paese contagiato e lo siamo ancora) e senza memoria: quella dei lutti e delle sofferenze, del lockdown e della fine della normalità diventata per molti anche dramma economico. Ripiombare in quell’incubo mascherato da letizia e da liberazione? Giammai. 


E fa bene Draghi a parlare di «gradualità» nella ripresa della vita di sempre (che per un bel po’ non potrà essere come quella di prima) e a puntualizzare in consiglio dei ministri che «se si ripeteranno fenomeni come quelli della scorsa estate», con il caos degli assembramenti e dell’irragionevolezza leggerista e sventata, si richiude tutto e si torna nel buio da cui stiamo cercando faticosamente di uscire. Insomma il «rischio calcolato» non può significare, nei comportamenti degli italiani, l’arbitrio del pericolo scampato. 


Una cosa è la «normalità» e un’altra cosa è, come il premier ci tiene a precisare, andare «verso la normalità». Non si tratta di sfumature semantiche, bensì di un avvertimento di tipo sociale che serve, e assai, a un popolo capace di grandi sacrifici - come ha abbondantemente dimostrato - ma anche fiaccato psicologicamente da una lunga pandemia, non conclusa, e in larga parte voglioso di esorcizzarne gli effetti liberandosi dai vincoli e dalle accortezze sanitarie imposte e auto-imposte dal 2020 in poi.


Calma e gesso, dunque. Responsabilità e lungimiranza, ecco. Ripartire senza lasciarsi andare. Non solo si può ma si deve. Sennò si torna indietro, e si richiude, e non si va avanti e non si rinasce. Facile a dirsi. Ma saremo capaci di comportarci di conseguenza? C’è quel genio di Altan, l’artista delle vignette, che ha detto: «Non sono ottimista. Una volta passata la paura della pandemia, ci sarà la rivincita dei bassi istinti». Smentire la sensata previsione di Altan, ma soprattutto non cedere all’ideologia o alla retorica andante del liberi tutti, può diventare nell’estate che viene la nuova missione nazionale e la fase si spera finale di una battaglia che, anche a livello di massa, non è stata combattuta troppo male. Abbiamo fatto fronte con senso di comunità, con disciplina, con fiducia nelle doti e garanzie offerte dalla scienza e dalla tecnica medica, alla lunga emergenza. Abbiamo fronteggiato con senso patriottico e di difesa personale e collettiva i drammi sanitari e dell’economia e del lavoro che si sono abbattuti su un’intera popolazione. Lo sforzo è stato gigantesco. Ma non è concluso. Semmai, cambia. E’ meno gravato da tragedie familiari e tuttavia la battaglia è in corso.

Si tratta di combatterla senza l’illusione che sia già vinta.

E con gradualità e responsabilità. Anche pensando che, sulla scorta di ciò che è accaduto, con la mascherina ancora sul volto anche nello stabilimento balneare, con la convinzione che la campagna vaccinale funziona e si spera proceda anche nei luoghi di vacanza, potremo essere diversi. Dopo le epidemie, così la storia insegna, ci sono sempre periodi di crescita economica e culturale. Occorre fare tesoro di questa costante, non vanificando frettolosamente i risultati sanitari acquisiti e non mollando sul fronte della consapevolezza che l’immunizzazione sta funzionando e sarebbe autolesionistico perdere questo vantaggio sull’altare di una spensieratezza ancora infondata.

 
Non si tratta di essere austeri, ma figuriamoci. Si tratta di essere acuti. Di capire per esempio, e non è complicato, che la vaccinazione è fondamentale ma gli anticorpi non durano in eterno e quindi il salva-vita è una garanzia a tempo e il corpo personale e collettivo di una nazione va monitorato continuamente. L’Economist, e non è il solo, sostiene che per il mondo sviluppato sta per arrivare un periodo di grande crescita economica. Vogliamo vanificare questa possibilità con i balli di gruppo nei campeggi, con le braciolate di massa, con l’happening senza soluzione di continuità, con il Covid che si trasfigura in una sbornia di spritz?

 
L’austerità è un’imposizione morale e moralistica insopportabile e che, a livello di politiche europee, ha portato soltanto disastri. Ma la freddezza del ragionamento è invece una virtù e guardando le cose dall’angolo visuale degli interessi individuali e nazionali non si può non convenire sul fatto, condiviso e ben illustrato anche dal premier, che occorre ancora darsi delle regole. E’ ragionevole aspettarsi che con l’affievolirsi del morbo si affievoliscano anche le paure. E questo ci sta. Ma si è più forti contro un nemico in difficoltà, se si mantiene l’aggressività di prima. Per dare il colpo finale, anche se l’estate è estate e se il relax vacanziero indurrebbe, come lo scorso anno da non replicare, a sdraiarsi o a festeggiare. Ma non si può.

 
In molti si sentono alla fine di una storia e sono portati a rilassarsi nella gioia di averla scampata. Errore. Ritemprarsi con prudenza e lungimiranza per ripartire di slancio: un popolo forte della propria civiltà plurimillenaria in questa circostanza ha tutti i numeri culturali per comportarsi così. Senza esagerare nell’apericena (spesso imbevibile e immangiabile).

 
«Ricordiamoci che la storia è un cimitero di popoli che non seppero guardare verso l’avvenire, che non percepirono il corso della storia». Lo disse Carlo Sforza, un grande ministro degli Esteri, in un discorso tenuto a Perugia il 18 luglio 1948. Inutile pretendere che diventi il rap dell’estate. Ma quest’estate l’Italia si gioca molto del suo futuro.
 

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