Alberto Brambilla
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Aiuti a pioggia/L’aumento del debito sulle spalle dei giovani

Aiuti a pioggia/L’aumento del debito sulle spalle dei giovani
di Alberto Brambilla
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Sabato 3 Aprile 2021, 01:59 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 00:47

Il nostro è uno strano Paese che oltre alle tante contraddizioni, ha una spiccata avversione per i numeri e per le verità che ritiene scomode. Possiamo così descrivere, in prosa, una delle contraddizioni che non da ieri caratterizzano la nostra società: la mattina tutti, politici, sindacalisti, ecclesiali, piangono per il futuro dei “poveri giovani” che non vengono aiutati e sono costretti a emigrare; il pomeriggio però gli stessi attori reclamano più soldi per tutti: per le famiglie (paventando il deserto demografico), per i soggetti svantaggiati (ma quasi nessuno dice chi siano), per i portatori di handicap, per gli anziani, per i bimbi colpiti da grave dispersione scolastica, per il Sud e così via.

Sicché alla fine, e non potrebbe essere diversamente, i fondi stanziati dal Decreto Sostegni diventano misere “mancette” che ristorano, se va bene, il 4% delle perdite subite. Per arrivare alla misura del 40%, come molte categorie merceologiche vorrebbero per meglio resistere ai colpi di questa drammatica crisi, i 32 miliardi del Decreto Sostegni dovrebbero diventare 320, ovviamente tutti a debito di chi verrà dopo di noi, cioè i giovani che a parole si vorrebbero aiutare. Sta qui la grande contraddizione: al mattino il pianto per loro, al meriggio richiesta di aumento smisurato del debito che altro non è se non una pericolosa ipoteca sullo sviluppo del Paese e sulle libertà economiche con cui dovranno confrontarsi le giovani generazioni chiamate, loro malgrado, a far fronte agli impegni che noi abbiamo assunto con criteri perlomeno discutibili.


Qualche numero - non del tutto inedito, ma poco conosciuto - per capire meglio chi siamo. La spesa per l’assistenza sociale è a carico della fiscalità generale perché, a differenza delle pensioni, le prestazioni assistenziali non si sostengono con i soli contributi; quindi le risorse provengono da coloro che pagano le tasse, di cui diremo a breve. Ebbene, nel 2008 l’Italia spendeva 73 miliardi l’anno e il rapporto debito/Pil era leggermente sotto il 100%. Nel 2019 a furia di inventarsi bonus tv, gas, energia, casa, baby sitter, trasporti, bonus Renzi, quattordicesima mensilità, Rei, Reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza e così via, le entrate Irpef si sono ridotte di circa 10 miliardi mentre le spese a carico della fiscalità generale sono lievitate a 114 miliardi: ben 41 miliardi strutturali in più. Si dirà: magari non avremo abolito la povertà come declamato da quei faciloni dei grillini, ma almeno si sarà ridotta. Non è così: l’Istat ci informa che nel 2008 le persone in povertà assoluta erano 2,1 milioni e nel 2019, prima della crisi da Covid-19, circa 5 milioni; le persone in povertà relativa sono invece nel frattempo passate da 6,5 milioni a 9 milioni.

Dunque, abbiamo quasi raddoppiato la spesa e al tempo stesso raddoppiato il numero dei poveri. È curioso che nessun politico, nessun sindacalista, ne faccia argomento di dibattito.


Quanto poi al tema della spesa, tutti sappiamo che è a carico della fiscalità generale. Ma che cosa vuol dire “fiscalità generale”? Forse è meglio chiarire il concetto, sia pure nella forma più sintetica. Nella griglia dei contribuenti, troviamo che il 60% degli italiani paga il 9% dell’Irpef, in pratica sono in gran parte a carico di altri cittadini; il 20% è invece “autosufficiente”, cioè paga tasse per i servizi che riceve; l’ultimo 20%, e in particolare il 13% (cioè coloro che dichiarano redditi da 35 mila euro in su) versa il 60% delle imposte, vale a dire paga per tutti.
È evidente che questa situazione è anche frutto di un’evasione fiscale che non ha pari in Europa e che costringe una parte degli italiani a colmare il vuoto che lo Stato, nonostante gli sforzi delle Entrate, non riesce a colmare a causa delle inefficienze della burocrazia. E ciò è talmente vero che il premier Mario Draghi non ha esitato a dichiarare che sulla questione fiscale «lo Stato ha fallito».

Draghi si riferiva in particolare al tema delle cartelle da stralciare, ma è parso chiaro a tutti che la sua valutazione aveva un raggio più ampio. Ciò detto, resta il fatto che una parte relativamente modesta degli italiani si sta facendo carico, ben oltre il dovuto, delle categorie più deboli. E se il principio è totalmente condivisibile, ciò non giustifica la produzione di nuovi “bonus” come proprio in questi giorni si sta facendo con l’assegno unico per i figli: idea lodevole, ma non tanto se ciò dovesse significare altro debito strutturale a carico dei contribuenti onesti di oggi e dei giovani che tali diventeranno domani. Anche perché i maggiori beneficiari di questo nuovo incentivo sono i contribuenti con redditi inferiori a 35 mila euro, vale a dire il 60% della popolazione censita. E qui sorge una domanda: quanti di questi cittadini vivono davvero nell’indigenza e quanti, invece, “dichiarano” di vivere nell’indigenza mentre in realtà appartengono - nel loro piccolo o nel loro grande - alla vasta tipologia degli evasori? Una domanda che dovrebbe indurre più di una riflessione prima di allargare ulteriormente l’ampio ventaglio dei sostegni.

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