Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Intese mancanti/ La corsa al Mes e le cautele (dovute) del nostro governo

di Angelo De Mattia
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Lunedì 27 Marzo 2023, 00:10

Stamane sarà cruciale la verifica sul fronte dei mercati, sapremo dal vivo se vi sarà continuità della graveturbolenza bancaria oppure se si registreranno segnali concreti di rientro degli scenari più pessimistici. In questo quadro si inserisce perfettamente il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che in questa settimana verrà affrontato dalla Commissione Esteri del Senato, con riferimento alla ratifica del nuovo Trattato da parte dell’Italia. Salta subito agli occhi il collegamento tra la revisione del Mes e il progetto di Unione Bancaria, un collegamento che è nelle cose, come si evince dal fatto che la principale riforma del Trattato è l’attribuzione al Meccanismo della funzione di paracadute del Fondo unico di risoluzione delle banche in dissesto - uno dei pilastri dell’Unione Bancaria - nell’eventualità che la dotazione del Fondo non risulti adeguata. Va detto che l’Unione Bancaria, forse troppo frettolosamente varata nel 2014, dei tre pilastri su cui è edificata (sulla carta) per ora vede compiutamente impiantato solo quello dell’accentramento della Vigilanza nella Bce, con una serie di problemi connessi - anche in termini di governance - che richiederebbero una revisione profonda. Degli altri due pilastri, il Mes con il relativo Fondo è solo parzialmente attuato, mentre il terzo, l’assicurazione europea sui depositi, è di là da venire. E ciò nonostante le intese molto chiare raggiunte dai partner europei in sede di varo del progetto. Tutto ciò è particolarmente grave per l’assicurazione dei depositi, che vede la Germania e i suoi fedelissimi schierati contro fino a quando non saranno accolte alcune condizioni oggettivamente inaccettabili, perché farebbero perdere ogni valore all’assicurazione: basti pensare all’attribuzione di un coefficiente di rischio ai titoli pubblici che oggi ne sono totalmente privi. Un controsenso. Del resto, fu l’allora premier Mario Draghi, non un euroscettico, ad affermare, di fronte a tali proposte, che era preferibile nessuna intesa rispetto a un cattivo accordo. Il fatto è che di tanto in tanto torna il metaforico comportamento del Marchese del Grillo: se l’intesa piace alla Germania si va avanti; se non piace, allora ci si blocca, pur avendo a suo tempo assunto un obbligo preciso: altro che “pacta sunt servanda”.

Collegare la ratifica del Mes a impegni da sottoscrivere sull’Unione Bancaria ha una sua evidente logica. Maggiormente ora quando è lampante, in presenza di una crisi bancaria, sia pure al momento circoscritta, l’importanza dell’assicurazione sui depositi e, quindi, di una sia pur delimitata mutualizzazione dei rischi.

Collegamenti della riforma del Mes sussistono pure con l’introduzione del Mercato Unico dei capitali e con la revisione del Patto di Stabilità: di qui l’esigenza di disporre di un quadro unitario. Va ricordato che al Mes, nella precedente configurazione di Fondo salva-Stati, non si ritenne di ricorrere già all’epoca del governo Monti, a motivo dello stigma che l’accesso avrebbe potuto causare per l’Italia e delle condizionalità connesse all’erogazione dei prestiti. Dopo la fase controversa del Mes “sanitario”, con i previsti finanziamenti ai quali neppure il governo Draghi ritenne di ricorrere, le modifiche del Trattato ora sottoposte a ratifica vanno esaminate anche per i profili delle condizionalità, certamente minori di quelle in vigore prima e quindi da non escludere in toto in linea di massima, ma che comunque richiedono attenzione per fugare ogni ipotesi di ingerenza macroeconomica. 

Vi sono iniziative che si possono assumere e concordare in sede europea anche a lato di una eventuale ratifica. Il primo dei consulenti di Draghi quand’era premier, il professor Francesco Giavazzi, ha sostenuto in un’intervista televisiva che bisognerebbe ratificare subito il Trattato, visto che l’Italia è l’unica a non averlo fatto e che il Mes ha una disponibilità di 500 miliardi. Solo dopo, secondo Giavazzi, si potrebbe procedere ad affrontare gli altri problemi aperti. Francamente non si comprende perché tale invito non venga rivolto anche a quei partner comunitari che finora hanno ignorato impegni precisi assunti a suo tempo, pur essendo i primi che ne beneficerebbero vista l’immagine precaria di cui godono alcune banche che operano nei loro territori.
Dare segnali rassicuranti anche sull’Unione Bancaria, soprattutto in questa difficile fase, dovrebbe essere più di un obbligo morale per delle istituzioni responsabili che vogliono davvero evitare che si permanga troppo a lungo in mezzo al guado.

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