Mario Ajello
Mario Ajello

Bollette alle stelle / Se gli utenti fanno a meno della politica

di Mario Ajello
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Martedì 30 Agosto 2022, 00:01

Finita l’estate della finta illusione che tutto rimanga come prima, al rientro dalle ferie ci si trova con il caro vita già sperimentato in vacanza (ma in villeggiatura sono tutti più spensierati e permissivi) e con il prezzo supersonico delle bollette impazzite. Davanti a tutto ciò urge, nell’interesse dei cittadini, un salto di qualità della campagna elettorale - meno giochetti autoreferenziali e bla bla - fondato su una questione centrale: gli italiani hanno diritto di sapere quali scelte farà il prossimo governo per garantire che il gas continui ad arrivare nelle loro case senza far lievitare i pagamenti. 
Quota 300 (questo il costo in euro a megawattora) non può che imporsi come il tema infinitamente più importante di tutti, altro che polemiche sulle alleanze e grida da talk show. E la politica ha l’occasione, dopo un brutto inizio di corsa elettorale, di riconnettersi con la popolazione parlando dei suoi bisogni reali, a cominciare appunto da quello di come difendere le proprie tasche e i bilanci domestici dai prezzi esorbitanti. La politica deve e può fare il suo per fronteggiare l’emergenza, ma sta anche ai cittadini - considerando quanto è complicata la battaglia in corso, in cui il governo italiano ha già speso più di 40 miliardi in aiuti e sgravi mentre è arduo stabilire un tetto comune europeo del prezzo del gas - arrivare a una nuova consapevolezza già strisciante in molte famiglie, nelle associazioni contro i rincari, nello spirito pubblico e nel buon senso minuto che non manca mai agli italiani nei momenti difficili. La consapevolezza che, almeno nel breve periodo, ci si può auto-regolamentare nei consumi energetici. Evitando sprechi. Uscendo da quella logica della spensieratezza nell’uso del riscaldamento, dell’aria condizionata, della doccia troppo lunga, del forno troppo acceso, dell’occhio troppo disattento ai gradi. 
Nessuna auto-censura, nessuna disciplina punitiva, nessuna resa all’insensatezza ideologica e anti-capitalistica della «decrescita felice». Quello che si sta cominciando a fare, ben sapendo che non basta, è sostituire la lagna del «ci moriremo di freddo» all’assunzione di una responsabilità individuale e collettiva, che è quella di monitorare direttamente i nostri caloriferi e le abitudini ad essi connesse per una sorta di razionamento volontario, virtuoso e tutt’altro che terribile o chissà quanto penalizzante. Basta moderarsi un po’. E accettare di cambiare un minimo. Ne siamo capacissimi come dimostra la condotta tenuta in questi anni di Covid. 
Ci siamo adattati a un po’ di sacrifici durante l’emergenza sanitaria, abbiamo fatto fronte con disciplina e compattezza (al netto degli evitabilissimi spropositi No Vax) a una situazione di gravità eccezionale e quel senso di patria e di auto-difesa della nazione lo abbiamo sperimentato sul campo scoprendo che ne siamo ampiamente provvisti. Ora in forme diverse siamo chiamati a un’altra prova e abbiamo l’allenamento sufficiente. Secondo lo studio presentato dall’Enea, per esempio, sarebbe possibile in Italia risparmiare circa 2,7 miliardi metri cubi di gas metano all’anno cambiando le regole del riscaldamento domestico. Si tratterebbe di abbassare di un grado la temperatura, dagli attuali 20 gradi a 19 gradi, ridurre di un’ora il tempo d’accensione dei termosifoni e di quindici giorni il periodo annuale di funzionamento. Si stima che, in questo modo, il risparmio medio nazionale per quanto concerne il combustibile utilizzato per il caldo nelle abitazioni sarebbe del 17,5 per cento. Il risparmio in bolletta per le famiglie potrebbe attestarsi intorno ai 180 euro annui. Se è così, e altre stime del genere vengono consultate ogni giorno di più dagli italiani, questa battaglia è alla portata di tutti. Fuori da ogni tentazione di indulgere a scenari apocalittici, del tipo: siamo in una grande guerra e in una grande guerra occorre fare grandi sacrifici. Guai alla retorica (riscalda troppo le menti e non le fa funzionare) e guai a scadere nei facili e fuorvianti paragoni storici, come quello del ritorno al futuro del 1973, allora c’era Rumor capo del governo e si stava nel millennio precedente a questo, con l’austerità dovuta all’embargo arabo durante il conflitto dello Yom Kippur con il petrolio alle stelle, orari ridotti per negozi e uffici, meno luci nelle strade, la tivvù che chiudeva in anticipo e le domeniche a piedi. La situazione ora è completamente un’altra. C’è da calibrare provvisoriamente, anche se non avviene in automatico, qualche comportamento con le novità sopraggiunte, tenendo i nervi saldi e il cervello acceso (non costa niente).
Su come gli italiani reagiranno alla prova, ci sono pochi dubbi: siamo un popolo adattabile e combattivo. Su come la politica saprà comportarsi, specie in questa fase di propaganda elettorale in cui è facile promettere mentendo sapendo poi di smentire, è lecito custodire qualche perplessità. Ma guai a disperare. Perché ormai è chiaro a tutti, e anche ai più accorti dirigenti dei partiti, che l’avversione per la politica non riguarda solo i più indifferenti e qualunquisti e i meno scolarizzati ma è trasversale e interclassista. Infatti la quota dei cittadini che si dichiarano interessati alla politica è cresciuta e non diminuita negli ultimi decenni. A un popolo consapevole che chiede soluzioni vere e qualità delle scelte di governo, non si può rispondere con un basso grado di preparazione e un alto tasso di faciloneria negli approcci e nelle ricette da parte dei partiti. 
Da questo punto di vista, la battaglia del gas è destinata a diventare il discrimine tra cattiva politica e buona politica, tra quella rinchiusa nei suoi codici di Palazzo e nelle sue sparate demagogiche, quindi anti-popolari, e quella che si fa carico di voler migliorare se stessa sintonizzandosi sulla vita reale degli elettori e sulle loro richieste. Già da subito e prima del voto del 25 settembre, è possibile concentrarsi o mostrare sul serio di volerlo fare sui cosiddetti problemi di necessità (e quello del caro-bollette lo è per eccellenza) e sui cosiddetti problemi di prospettiva (e tanto per restare nel campo energetico ce n’è uno assai rilevante che riguarda i rigassificatori: non andrebbe riformata in fretta la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, che ha tolto allo Stato centrale il potere di decidere sulla realizzazione di impianti favorendo così le proteste territoriali come quella di adesso a Piombino e che può ripetersi ovunque?). 
Se intanto però i cittadini si ingegnano in forme di auto-regolamentazione energetica e cercano modalità di risparmio individuali, significa che ragionano più o meno così: ci pensiamo da soli, visto che la politica sta rinunciando ad avere un ruolo in questa grande questione economica che ci riguarda.

E se la politica abdica a mettere testa a un problema così importante, poi non può lamentarsi del temuto record dell’astensionismo, quotato nelle ultime stime al 35 per cento (16 milioni di non votanti), la cui escalation non sarà pari a quella mostruosa dei costi delle bollette ma le due esplosioni rischiano di intrecciarsi.

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