Alessandro Campi
Alessandro Campi

Sviste lessicali/ La battaglia ai "patrioti" che fa male al Paese

di Alessandro Campi
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Lunedì 13 Marzo 2023, 00:12

Al sindaco di Bologna (e ai consiglieri della sua maggioranza) il nome di Matteo Galdi probabilmente non dice molto. Nato nel 1765 in un paesino vicino Salerno (dove c’è ancora oggi una piazza dedicata al suo nome), era un giacobino di simpatie rivoluzionarie, arruolatosi con Napoleone nell’Armata d’Italia per combattere contro i governi tirannici e reazionari italici dell’epoca.
Era uno di sinistra, con le categorie e la sensibilità odierne: repubblicano radicale, riformatore in economia, nemico dei privilegi di cui godevano clero e aristocrazia, fautore dell’egualitarismo sociale, della scuola pubblica e di un ordine internazionale costruito su basi federalistiche.
Nel 1797 fondò un periodico intitolato Giornale dei patrioti d’Italia, nel quale descriveva sé stesso e la sua battaglia politica in questi termini: “Gli amanti più fervidi e sinceri della democrazia sono chiamati patrioti. Questa espressione (…) esprime perfettamente il carattere di un buon repubblicano e la più sublime delle sue virtù, l’amore della patria”. E aggiungeva con spirito visionario: dal momento che “gli italiani sono tutti fratelli” occorre battersi per l’unificazione politica della Penisola. Che si sarebbe realizzata solo settant’anni dopo, mentre lui era morto già nel 1821.
Questo dunque il senso della parola “patriota” nella storia italiana prima ancora che iniziassero le battaglie risorgimentali: un sinonimo di libertà, indipendenza, progresso, diritti, uguaglianza, virtù, democrazia, fratellanza.

E’ vero, fatta l’Italia come Stato monarchico, sono poi venuti il nazionalismo colonialista, la guerra irredentista e la dittatura mussoliniana, che hanno gravemente inquinato e deformato il significato di quella parola. Che proprio la lotta contro il fascismo terminale e l’occupazione nazista ha però riportato al suo valore originario: molti dei partigiani che combattevano per l’indipendenza e la libertà della nazione si consideravano soprattutto dei patrioti. Non a caso il fenomeno resistenziale, una volta deposte le armi e instaurata la repubblica, venne considerato, soprattutto a sinistra, come un “secondo Risorgimento”.
Ma questa sembra storia di ieri. Il problema, per venire rapidamente all’oggi, è che il termine “patriota”, sul quale nel frattempo era caduto l’oblio, è stato fatto proprio e monopolizzato nel dibattito pubblico dal partito di Giorgia Meloni: Fratelli d’Italia. Una ragione a quanto pare sufficiente perché la sinistra lo veda con sospetto e rinunci ad utilizzarlo. Per caratterizzare la propria identità – e per descrivere la propria visione della storia d’Italia e della democrazia repubblicana – meglio ricorrere al termine “partigiano”. Partendo, come nel caso di Bologna, dalla ridenominazione degli spazi pubblici. Se i patrioti stanno a destra, a sinistra stanno i partigiani, secondo questa versione lessicalmente aggiornata dello scontro, che qualcuno evidentemente vorrebbe infinito, tra fascisti e antifascisti.
La ragione formale addotta dalla giunta del sindaco Pd Matteo Lepore per una scelta che sta facendo tanto discutere è in realtà più prosaica: bisognava “uniformare” la toponomastica cittadina. Complicato per i suoi cittadini leggere nomi di strade e piazze con dizioni tanto difformi come “caduto per la liberazione”, “patriota” o “patriota del secondo Risorgimento”. Espressioni che saranno appunto uniformate e semplificate ricorrendo ad un termine unico e, soprattutto, inequivocabilmente di sinistra: “partigiano”.
Le battaglie simbolico-emotive, parole invece che fatti, sono quelle che costano meno e che si ritiene rendano di più nell’epoca dell’immagine. Se non altro in termini di autogratificazione di gruppo e visibilità mediatica. Vedremo se pagano anche in termini elettorali. Di certo, questa scelta segnala una curiosa confusione dei ruoli. Un tempo quelli fuori dalla storia erano i neo-fascisti, con la loro continua richiesta di pacificazione e reciproco perdono rispetto ad una guerra civile finita in realtà da decenni. Oggi lo sono i neo-antifascisti, allorché sostengono che quella contesa tra fratelli in effetti attende ancora un vincitore. Opposte ma convergenti nostalgie.
Dal passato che non passa della destra al passato che non deve passare della sinistra. La prima, giunta democraticamente al governo, ha preso sempre più le distanze dai suoi fantasmi sepolcrali ispirati al fascismo salotino. La seconda, sconfitta democraticamente nelle urne, quei fantasmi li evoca ormai quotidianamente come ispirazione per la propria lotta. Si toglie il fascismo dal magazzino della storia e lo si trasforma in un pericolo reale ed imminente solo per legittimare una mobilitazione degli animi nel segno dell’antifascismo militante che diversamente sarebbe solo anacronistica e anti-storica. 
Ma ciò che più colpisce sono gli errori di questa scelta identitaria del progressismo bolognese orfano della sua stessa memoria nazional-comunista. Il più plateale è d’ordine storico: togliendo ai partigiani la qualifica di patrioti la resistenza, intesa come lotta per la democrazia e l’indipendenza, viene svuotata del suo carattere di liberazione nazionale e ridotta a militanza ideologica di osservanza sovietica. Probabilmente si pensa di affermare così un monopolio etico-politico sulla resistenza: in realtà si finisce per mortificarne il respiro corale e la molteplicità delle ispirazioni ideali.
Sul piano politico, siamo invece a un passo dall’autolesionismo camuffato da intransigenza sui valori e passione civile.

Si rinuncia infatti a confrontarsi con un termine (patria) e un tema (l’identità nazionale) che sono tornati ad essere dirimenti sulla scena storica al di là degli schieramenti di parte. In un mondo che riscopre la fratellanza politica e le appartenenze territoriali particolaristiche come fattori di coesione sociale delle comunità e di resistenza culturale alla globalizzazione, la sinistra si rifugia nell’orgoglio di gruppo e nel settarismo ideologico, arrivando persino a rinnegare il suo stesso passato. La destra meloniana, incredula e commossa, sentitamente ringrazia. 

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