Paolo Balduzzi
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Caccia al consenso. Se l’assegno di famiglia non stimola la natalità

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 1 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:20

Il Senato ha approvato, in via definitiva, la legge delega che introduce nel nostro ordinamento l’assegno unico e universale per figli. La politica esulta, le associazioni di famiglie anche. È davvero la rivoluzione che serviva per fermare il declino demografico del Paese? Per quanto la risposta possa suonare impopolare e persino controcorrente, essa è no.

Non vorrei essere frainteso: lo spirito della proposta è totalmente condivisibile, perché il quadro dei sostegni in vigore è caotico e iniquo. Le attuali detrazioni, infatti, non sono disponibili per i cosiddetti incapienti, mentre i lavoratori autonomi non hanno diritto agli attuali assegni famigliari. Il nuovo assegno invece sarà giustamente per tutti. Cosa c’è, allora, che non va? Innanzitutto, perché di legge delega si tratta: il Governo avrà ora tempo dodici mesi per approvare i decreti attuativi. E la storia parlamentare italiana è colma di deleghe lasciate decadere. Certo, la recente dichiarazione del premier Draghi fa ben sperare. Tuttavia, le sue parole («250 euro al mese per ogni bambino a partire da luglio») appaiono fin troppo ottimistiche, sia per i tempi sia, in particolare, per la cifra.

Nella legge delega non ci sono numeri così precisi. Anche nelle più ottimistiche simulazioni le cifre sono inferiori. A meno, naturalmente, di non allargare le risorse disponibili, che al momento si aggirano sui 20 miliardi, di cui 14 circa dalla soppressione delle misure vigenti. I sostegni alle famiglie non saranno quindi di 20 miliardi in più, bensì solo di sei. Una cifra di tutto rispetto, sia chiaro: ma comunque insufficiente per mantenere tutte le promesse che il provvedimento e i suoi sostenitori stanno facendo, anche perché, giustamente, aumenterà pure la platea dei beneficiari.

La misura certamente creerà grandi benefici per qualcuno (per circa 3,2 milioni di famiglie, più di 1000 euro l’anno) ma anche un peggioramento della situazione per molti altri. Un gruppo di lavoro composto da Arel, Fondazione Ermanno Gorrieri e Alleanza per l’infanzia ha stimato che, sotto alcune ipotesi e approssimazioni, in media ognuna delle 7,6 milioni di famiglie che riceverà il trattamento unico otterrà in media 218 euro mensili a figlio, anche se la metà ne otterrà meno di 161. Non sono cifre basse, ma la domanda corretta è: quanti euro in più (o in meno) sono rispetto ad oggi? Perché ben 1,3 milioni di famiglie prenderanno di meno (la metà di queste, oltre 400 euro in meno l’anno).

Sembra che chi lo vorrà potrà mantenere i trattamenti attuali. Ma per fare questo servono, formalmente, almeno due cose: un decreto correttivo (su una legge appena approvata!) e, tanto per cambiare, le risorse. Come trovarle? Qualcuno suggerisce di prenderle dal reddito di cittadinanza. In questo modo, però, il timore è che l’assegno unico sostituirà gradualmente anche le forme di sostegno al reddito. Sarebbe un male: l’efficacia di una politica pubblica si misura dalla quantità di problemi che vuole risolvere. Più è focalizzata e più è efficace; al contrario, più cose vuole fare e peggio le fa (tutte).

Non solo: perché nessuno stia peggio serve soprattutto che ogni interessato sappia calcolare quanto gli spetta con il nuovo assegno unico e quanto ha percepito finora. Un calcolo nient’affatto semplice. E qui si arriva al cuore delle critiche a questa operazione. Il sospetto è che, lungi dall’essere una politica per aumentare la natalità del nostro Paese, questa legge serva soprattutto ai politici per incassare un po’ di voti.

Pensiamoci bene, la regola d’oro del consenso è la seguente: le imposte devono essere le più nascoste possibili, mentre i sussidi i più trasparenti. Per esempio, quasi nessun lavoratore dipendente sa quanto paga di imposta sul reddito, per non parlare di addizionali regionali e comunali. Allo stesso modo, nessuno sa quanto riceve ogni anno in termini di detrazioni per figli a carico. Ma quei soldi ci sono e a un politico deve sembrare proprio incredibile che vengano erogati soldi ai contribuenti senza che questi lo sappiano e possano ringraziare con il proprio voto. Cosa di meglio di un assegno mensile? La verità è che, per ridurre il calo delle nascite, i soldi non bastano.

Basterebbero, forse, se fossero enormemente di più. Ma più utili dei soldi sono i servizi che aiutano le famiglie a conciliare gli impegni di casa e di lavoro e che aiutano le donne a non mettersi nella condizione di scegliere se lavorare o se occuparsi della famiglia: asili nido, orari scolastici compatibili con esigenze lavorative, perfino vacanze estive più brevi (con soste durante l’anno scolastico). A questo proposito un ultimo problema importante, che l’assegno unico condivide con le attuali misure in vigore, è che non è davvero universale. Non ne hanno cioè tutti diritto ma solo coloro che percepiscono meno di un certo reddito o, con riferimento al nuovo assegno, hanno un Isee inferiore a un certo valore (ancora da definire).

Ciò non è completamente errato dal punto di vista dell’equità: come sostenere la giustizia sociale di un assegno famigliare a un milionario? Ma tra ricchi e classe media c’è una bella differenza. E il pericolo è che, tanto per cambiare, ci vada di mezzo proprio la classe media. Innanzitutto, perché con 110 miliardi di evasione fiscale e contributiva annua molti evasori sottrarranno benefici fiscali agli onesti. E poi perché in questo modo si disincentiva il lavoro di chi in famiglia guadagna di meno (di solito, la donna): perché uno stipendio in più significherebbe un assegno inferiore (o addirittura nessun assegno). Dovremmo quindi restare dove siamo? Non necessariamente: ma è importante che le famiglie sappiano fare bene i conti prima di accettare un trattamento che potrebbe essere peggiore di quanto avuto finora. E che la politica smetta di vendere come rivoluzione ciò che non lo è. Si utilizzi allora al meglio il Piano nazionale di riforma e resilienza per creare le condizioni necessarie, quelle sì, a dare ottimismo e speranza alle famiglie che vogliono allargarsi e a quelle che, coraggiosamente, lo hanno già fatto.
 

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