Carlo Nordio
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Paesi aggrediti/ Le armi all’Ucraina e la lezione della Storia

di Carlo Nordio
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Mercoledì 4 Maggio 2022, 00:02

Non sappiamo ancora quante e quali armi il nostro Paese consegnerà all’Ucraina. Il riserbo sul punto del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è doveroso perché si tratta di informazioni che non possono essere regalate al nemico. Ma questo ha scatenato la consueta polemica sulla legittimità della consegna e sulla eventuale limitazione alle armi cosiddette difensive. Sul punto possiamo fare quattro considerazioni. 
Primo. In teoria la distinzione tra armi offensive e difensive è plausibile. Le prime servono per scatenare un attacco, quindi missili, carri armati, artiglieria pesante e così via. Le seconde mirano a respingerlo, e in questo senso si parla di antimissili, antiaerea, anticarro eccetera. Ma in pratica è una finzione. Una pietra è difensiva se serve a costruire un muro, ma diventa letale nella fionda di Davide contro Golia. Le fortificazioni dovrebbero tenere a bada il nemico, ma non sempre è così. La linea Maginot, dietro la quale si riparò nel 1940 l’esercito francese, era effettivamente un gigantesco complesso statico, e quindi difensivo. 
Dall’altra parte del confine la linea Sigfrido, voluta da Hitler, ebbe di fatto una funzione offensiva, perché servì ad economizzare le truppe lungo il fronte, per concentrarle sulle Ardenne dove sfondarono facilmente, aggirando la Maginot e sconfiggendo la Francia in tre settimane.
Infine i carri armati. Hanno essenzialmente una funzione offensiva, perché la loro mobilità consente rapidi sfondamenti, come fecero Guderian nel ‘40, Patton nel ‘44, Rabin nel ‘67 e Sharon nel ‘73. Tuttavia Rommel, che pur se ne intendeva, voleva schierarli sparpagliati lungo le coste della Francia nell’imminenza dello sbarco alleato, per fermare gli angloamericani sulla linea della battigia. I sovietici li usarono spesso interrati, come se fossero semplice artiglieria. E con gli esempi potremmo continuare all’infinito. In conclusione, al netto delle ambiguità del linguaggio diplomatico, oggi la distinzione è superata: armi sono, e armi restano.
Secondo. E’ legittimo consegnare queste armi a un Paese aggredito? Risposta: sì, assolutamente sì. In primo luogo perché la legittima difesa, e la conseguente assistenza all’aggredito, sono riconosciute dal citatissimo articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Poi perché sono conformi alla consuetudine che, nel diritto internazionale, è una fonte normativa. E infine perché, a lume di buon senso, se è legittimo difendersi in casa propria se entra un rapinatore a maggior ragione lo è per difendere la Patria quando è invasa da uno straniero. 
Terzo. E la consegna di armi pesanti e di carri armati? Qui può soccorrere anche il nostro diritto interno. Nel concetto di legittima difesa è insito quello di proporzione tra mezzi usati dall’aggressore e quelli impiegati dall’aggredito. Quando tre anni fa l’articolo 52 del nostro codice penale fu riformato tra mille polemiche, si convenne di mantenere il principio della proporzione: se un ladro ti minaccia con una fionda non puoi rispondergli con la pistola. Ma se è armato, puoi reagire sparando. Ebbene, in Ucraina i russi sono entrati con i carri armati, e quindi è legittimo reagire con armi equivalenti, anche fornite da noi. E onestamente non riusciamo a capire come chi ammette che si possa sparare al rapinatore in casa propria esiti a riconoscere questo diritto a uno stato sovrano attaccato da migliaia di blindati. 
Quarto. Questa fornitura costituisce una dichiarazione di guerra o comunque di cobelligeranza nei confronti dei russi? Risposta: assolutamente no. Anche qui l’insegnamento viene non solo dalle norme internazionali, ma dalla storia passata e recente. Durante la guerra del Vietnam i sovietici rifornirono abbondantemente i nordvietnamiti di armi di ogni tipo, compresi i micidiali missili Sam con cui furono abbattute decine di aerei americani. Non per questo gli Usa considerarono Mosca in guerra con loro, e tantomeno minacciarono rappresaglie nucleari. 
Lo stesso avvenne in Medio Oriente. Israele durate i primi giorni della guerra del Kippur subì perdite pesantissime, e qualcuno temette che ricorresse, per respingere gli egiziani, all’arma atomica. Fu salvata dal valore del suo esercito ma anche dal massiccio ponte aereo con cui gli americani ricostruirono gran parte del suo arsenale distrutto. Lo stesso fecero i sovietici con gli egiziani e i siriani. Erano guerre per procura? Niente affatto: erano guerre nazionali, con le grandi potenze che sostenevano i propri alleati. Così è sempre avvenuto, e così sarà ancora nel futuro. 
Concludo. L’aiuto armato all’Ucraina è una scelta esclusivamente politica. Le lezioni della Storia, gli impegni atlantici, e l’eroica resistenza di Zelensky e compagni consigliano, e direi impongono, di soccorrere il Paese aggredito con tutte le armi che servono, senza sottilizzare tra offensive e difensive. Naturalmente si può anche decidere il contrario, e baloccarci con le verbose utopie di un impossibile (per ora) accordo diplomatico. Ma in questo caso la credibilità internazionale dell’Italia ne resterebbe irrimediabilmente minata, e quel po’ di prestigio faticosamente acquisito con le missioni e i morti, in Iraq, in Afghanistan e altrove, si dissolverebbe in un baleno, rievocando il detto sprezzante che i nostri blindati hanno una marcia avanti e quattro indietro, e che non finiamo mai una guerra con l’alleato con cui l’avevamo cominciata.

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