Paolo Pombeni
​Paolo Pombeni

Accuse al governo/ La dialettica politica e l’interesse del Paese

di ​Paolo Pombeni
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Giovedì 23 Marzo 2023, 00:16

Il confronto fra maggioranza e opposizione è costitutivo di ogni dialettica democratica e pretendere che sia condotto come un forbito dibattito accademico sarebbe chiedere troppo alla natura umana. Tuttavia è accettato che ci siano dei momenti in cui lo scontro si deve placare di fronte a quanto si usava definire il preminente interesse nazionale. Ed è proprio ciò di cui si sta discutendo, senza troppa convinzione, in questi giorni.
La presidente Meloni ha posto il tema in alcune occasioni, da ultimo richiamando il danno che può venire al nostro paese da una polemica che tende a presentare la nostra politica verso il fenomeno migratorio come ispirata ad una insensibilità sul piano umanitario. È difficile negare che ci siano delle ragioni in questa argomentazione, proprio nel momento in cui ci si sta sforzando di chiedere all’Europa di condividere il carico della problematica. È presumibile che tutti i partner che hanno poca voglia di impegnarsi su quella linea possano approfittare della rappresentazione negativa di quanto stiamo facendo per giustificare reticenze e preclusioni verso il nostro paese.

Nel complesso l’andamento del confronto parlamentare prima della partecipazione della premier al Consiglio europeo non ha mostrato grande consapevolezza della delicatezza della contingenza attuale: certo non da parte della gran parte delle opposizioni, ma neppure da parte di tutte le componenti della maggioranza. 
È prevalso il vecchio rito per cui il parlamento è un palcoscenico dal quale ciascuno parla ai suoi militanti di riferimento e cerca di scaldarne i sentimenti facendo appello alle retoriche pseudo identitarie consacrate dalle campagne elettorali e dalla loro incessante appendice nei talk show.

Eppure i temi sul tappeto sono oggi più che decisivi. Pensiamo subito all’andamento che sta prendendo la guerra in Ucraina, che Putin ha deciso di trasformare da scellerata impresa di riconquista imperiale in uno scontro per la distruzione di una storica egemonia euro-atlantica che dia spazio ad una nuova di tipo euro-asiatico. È questo che rende difficile qualsiasi discorso sulla pace se non si parte dalla sconfitta di questo disegno dello zar del Cremlino: una sua vittoria, anche parziale, porterebbe lui e i suoi alleati cinesi a progettare fasi ulteriori di quell’operazione davvero speciale. Richiamiamo anche il tema delle nuove turbolenze sul sistema finanziario internazionale. Le vicende del Credit Suisse, le ombre sulla tenuta di tutto un sistema delle medie banche americane, l’inflazione che non abbassa la cresta, sono elementi che non preoccupano solo la Ue in generale, ma particolarmente un paese come il nostro che sul fronte della finanza pubblica ha non pochi problemi, proprio mentre è impegnato con la sfida della messa a terra del Pnrr.

Al tema del governo dei flussi migratori abbiamo già fatto cenno. Ebbene tutto ciò dovrebbe spingere una classe politica matura a ragionare a fondo su come affrontare questa fase con la necessaria solidarietà di sistema lasciando perdere il festival dello sventolio delle diverse bandierine. Se ci è permesso di scherzare su un tema delicato, lanceremmo il seguente slogan: una piazza(ta) al giorno toglie la buona politica di torno.
Sono però argomenti troppo sensibili per cavarsela con le battute.

Nessuno pensa che il dibattito politico possa diventare una generica convergenza su qualche bella frase, privandoci della ricchezza di una autentica dialettica. Crediamo piuttosto che il confronto, anche deciso, debba avvenire avendo in mente la presa in carico dei problemi e l’individuazione di soluzioni possibili che possono essere avviate. Ci sono ambiti come la politica internazionale, quella delle grandi scelte economiche e sociali, le decisioni su un minimo di etica pubblica condivisa, che debbono costituire un terreno su cui si costruisce la solidarietà repubblicana. Dovremmo farlo in un momento complicato come quello che stiamo vivendo, quando si può sempre meno contare sull’apporto di forze che si collocano in contesti più ampi.

Tutti i grandi paesi europei, e buona parte anche dei meno grandi, hanno problemi di leadership e ciò vale anche per gli Usa come mostrano le recenti tensioni nate dalle ultime intemerate di Trump. L’Italia deve navigare in questo mare e non può certo farlo agevolmente se la sua ciurma è impegnata più che altro in lotte intestine (a volte su questioni nominali). Siccome l’uso della demagogia politica, più o meno spinta, ha interessato quasi tutti i partiti, nessuno è legittimato a fare adesso la parte di quello che censura gli altri in nome di una verginità che non ha ora e che non ha praticato in passato. Ci si deve augurare che prevalga il più ampiamente possibile la ricerca di convergenze sui difficili problemi che abbiamo davanti in modo da rafforzare sia la nostra coesione interna (essenziale per evitare l’esplodere destabilizzante degli opposti egoismi) sia la nostra forza nel quadro internazionale.

Non c’è da temere che ciò disarmi le legittime diversità di analisi e di prospettive. Quelle rimarranno, anzi si rafforzeranno in un confronto rigoroso. A finire ai margini (pensare di cancellarli è purtroppo una utopia) saranno i fanatismi, i pregiudizi costruiti per impedire i dialoghi, le demagogie che spacciano il bene come robetta a portata di mano, basterebbe volerlo. Sarebbe un bel passo avanti.

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