Paolo Balduzzi
​Paolo Balduzzi

Riforme sbagliate/ Prigionieri degli errori del passato

di ​Paolo Balduzzi
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Mercoledì 16 Ottobre 2019, 00:15
Panta rei, ripeteva Eraclito: tutto scorre, tutto cambia e niente è mai uguale a se stesso. Quasi duemila anni dopo, Tomasi di Lampedusa aveva già smentito il filosofo di Efeso, dipingendo ne “Il gattopardo” un mondo che tutto vuol cambiare, sì, ma affinché in realtà nulla cambi davvero. Questa immagine è stata ormai più e più volte usata per descrivere la politica italiana. Stavolta siamo alla conferma di un male antico, con una novità: il Paese finisce vittima dei ricatti del passato. Ovvero di riforme o strumenti di elargizione che aumentano la spesa corrente tutti mirati agli elettorati di riferimento. 

Un ricatto che tende a perpetuare gli errori del passato. La riproposizione della somma tra 80 euro, Quota 100 e Reddito sommata alla necessità di tamponare con 23 miliardi l’aumento dell’Iva lascia solo poche briciole all’innovazione e alla crescita. E invece una rimodulazione di questi strumenti avrebbe potuto puntare la posta su una vera scossa alla nostra economia.

Tutto ciò è evidente dalla surreale discussione che è ruotata intorno al Consiglio dei Ministri di ieri sera, una riunione già rinviata e tuttavia cruciale per definire i primi paletti della nuova legge di bilancio (che, invece, sarà probabilmente approvata il prossimo 21 ottobre). 

Le anime della maggioranza ci arrivano con posizioni piuttosto lontane, apparentemente inconciliabili. E, bisogna ammetterlo, anche difficili da capire per coloro che non vivono la politica come mestiere. Dopo avere criticato ferocemente gli interventi di natura assistenziale più caratterizzanti del Governo Conte I, vale a dire Quota 100 e reddito di cittadinanza, ora il Partito democratico accetta come pegno naturale di questa alleanza la riproposizione delle due misure senza che nessun miglioramento, nessuna messa a punto siano state programmate e definite nella forma.

Eppure le ragioni per opporsi a questi provvedimenti, perlomeno per come sono stati inizialmente congegnati, ci sono; e non arrivano solo dall’esterno. Basti guardare all’approccio critico, se non addirittura contrario, di Italia Viva (Renzi) o anche di voci isolate all’interno del Partito democratico (l’ex Ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan o Nannicini). Quota 100, lo abbiamo scritto e ripetuto ogni volta che ne abbiamo avuto l’occasione, è un provvedimento funesto, perché crea in primo luogo iniquità tra generazioni diverse: consuma risorse, che potrebbero essere utilizzate ben più produttivamente, per favorire una corte molto ridotta di beneficiari (coloro che conseguono, nel triennio 2019-2021, 62 anni di età e 38 di contributi), senza peraltro distinzioni tra tipologie di lavori svolti. Perlopiù, è una misura temporanea, che crea estrema iniquità non solo tra generazioni molto lontane - non tiene conto del progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa grazie alla maggiore longevità media - ma a ben vedere anche tra generazioni molto vicine, vale a dire tra i beneficiari e coloro che, per pochi mesi di vita o di età contributiva, non hanno avuto la fortuna di vincere questa lotteria.

Infine, è iniquo perché discrimina tra coloro che possono felicemente aderire all’iniziativa (chi ha avuto carriere lavorative più brillanti ha già diritto a una buona pensione) e altri lavoratori che, se la carriera è stata più sfortunata o irregolare, decidono di rinunciare all’uscita anticipata, pur avendone formalmente diritto, per conseguire una pensione un po’ più generosa tra qualche anno. E ciò è confermato dal fatto che finora i pensionamenti sono stati inferiori alle previsioni.

Certo, non siamo nati ieri. Abolire Quota 100 significa creare un’ulteriore iniquità tra chi ha usufruito della misura in questi primi mesi e coloro che avevano programmato di usarla nei prossimi. Un dilemma con un’unica soluzione per il politico in cerca di consenso: accontentare tutti moltiplicando le spese. Ma siamo sinceri: questi sono tutti problemi che appaiono risolvibili, magari con meccanismi più graduali di rimozione di Quota 100 rispetto al semplice suo annullamento. Al solito, non è la soluzione che manca; bensì la volontà politica di applicarla.

Discorso analogo può farsi per il reddito di cittadinanza: anche in questo caso, le richieste sono state inferiori alle previsioni. La finalità assistenziale del reddito di cittadinanza è quella che probabilmente ha funzionato meglio, con la speranza che i controlli sugli aventi diritto vengano effettuati in maniera completa, pervasiva e trasversale su tutto il territorio nazionale e su tutte le categorie di aventi diritto. Al contrario, non sembra che il reddito abbia avuto alcun effetto sul fronte della lotta alla disoccupazione.

Non che ce lo saremmo davvero aspettato, del resto. Vale quindi la pena rivedere anche questa misura, sia perché le sacche di inefficienza sono evidenti (siamo davvero ancora convinti di avere abolito la povertà?) sia perché l’assistenza, senza creazione di lavoro (e quindi senza riforme, investimenti, istruzione), diventa un incentivo all’inoperosità. E il tutto potrebbe risolversi anche facilmente, convogliando maggiori risorse e i risparmi da queste misure verso la terza gamba che sembra sostenere il Documento Programmatico di Bilancio: la riduzione del cuneo fiscale.

Che si tratti di 2, 3 o anche 5 miliardi, è evidente che le risorse sono ancora insufficienti. La riduzione del cuneo deve favorire tutti i redditi, specialmente quelli bassi ma certo non solo loro, ed essere in grado di stimolare tanto l’offerta di lavoro (vale a dire i lavoratori) quanto la sua domanda (vale a dire le imprese). Ancora una volta, possiamo concedere il beneficio del poco tempo a disposizione a questa maggioranza. L’impressione, tuttavia, è che anche questa volta si stia perdendo l’occasione di dare la Paese la scossa necessaria per tornare a crescere. Paradossalmente, invece di ricercare la massima discontinuità col passato, la politica sembra impegnata a imparare dai propri errori solo per riuscire a ripeterli meglio: una perseveranza diabolica che finisce col punire, ancora una volta, gli esclusi, i più deboli, i più giovani.
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