Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Tasse sul lavoro, prima serve una scossa all’economia - di P. Balduzzi

Tasse sul lavoro, prima serve una scossa all’economia - di P. Balduzzi
di Paolo Balduzzi
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Domenica 19 Gennaio 2020, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 01:50
Si avvicinano le elezioni in Emilia-Romagna e si intensifica il dibattito sulla riforma dell’Irpef. La maggioranza ripropone la promessa del taglio delle imposte per evitare una sconfitta elettorale che potrebbe segnare la fine di questo governo. 

Tra l’altro in un territorio, l’Emilia-Romagna, dove fino a pochi anni fa il centrosinistra avrebbe vinto senza nemmeno impegnarsi.
Del resto, nel 2014 con il “bonus 80 euro” questa strategia è stata vincente. Non a caso, la riforma proposta, o forse sarebbe meglio dire il taglio annunciato, riparte proprio da quei tanto bistrattati “80 euro”. Al solito, sgombriamo il campo dagli equivoci: diminuire la pressione fiscale in questo paese è doveroso e certamente una buona notizia. Sulla carta, stimola i consumi, i risparmi e gli investimenti, seppur a fronte di una possibile contrazione della spesa pubblica.
 
L’effetto netto sul prodotto interno lordo, e quindi sulla crescita economica, dovrebbe essere positivo. Ma proprio la vicenda degli “80 euro”, oltre ad aver insegnato a questo governo che uno sconto fiscale ha positivi effetti elettorali, dovrebbe anche ricordare che questi effetti sull’economia sono stati davvero poco visibili.
Perché? Perché l’economia è una scienza sociale e le persone non possono essere considerate semplici automi che rispondono a incentivi economici, come cavie da laboratorio. Lo stimolo maggiore, quello che oltre agli effetti economici provoca anche gli effetti psicologici, cioè quelli che producono speranza e ottimismo nel futuro, è dato dalla maggiore facilità di trovare lavoro.

Da questo punto di vista, peraltro, il periodo sembra favorevole e i dati sono confortanti, pur se andrebbero evitati facili entusiasmi. L’occupazione ha infatti appena toccato il massimo dalla fine degli anni ’70, pur restando tristemente una delle più basse in tutta Europa. Potrebbe essere quindi il momento giusto per una cura shock e per inserire il turbo, per tentare di cavalcare l’onda senza accontentarsi di galleggiare. 
Ma il dibattito economico sembra occupato da altro: che siano 3 o 5 i miliardi da trovare per mettere a regime la proposta del governo, sembrano ancora troppo pochi per raggiungere l’effetto necessario. Un test per capire se il dibattito sul’Irpef è solo strumentale potrebbe essere quello di verificare la disponibilità del governo a mettere mano all’intero sistema fiscale.

Non ha senso, infatti, parlare esclusivamente di riforma dell’Irpef: l’imposta sul reddito, per i tecnici un’imposta diretta, è sì la principale imposta italiana, ma non è certo l’unica. La seconda imposta, l’Iva, è invece indiretta e colpisce i consumi. Mentre la terza imposta, di nuovo diretta, è l’imposta sui redditi societari.


È una perdita di tempo affrontare la riforma di una sola di queste imposte considerando le altre come indipendenti. Ed è del tutto plausibile, quindi, che per gli effetti shock desiderati, per incrementare la fiducia tanto dei lavoratori quanto delle imprese, per aumentare la oggi troppo deboli offerta e domanda di lavoro, siano le imposte dirette in generale a dover diminuire, magari compensate da una rimodulazione di quelle indirette. Più esplicitamente, perché non avviare subito un progetto ragionato di riforma del sistema tributario invece che, come tutti gli anni, ridursi alle ultime settimane dell’anno per raschiare risorse a destra e a manca tra le categorie politicamente meno protette o elemosinando percentuali di deficit all’Europa?

Ma la volontà di inserire il taglio del cuneo fiscale in un decreto legge va proprio nella direzione opposta. Così come va nella direzione opposta l’inserimento di nuove e diverse “tax expenditures” (cioè detrazioni e deduzioni), le cui attuali consistenza e composizione risultano sostanzialmente ignote allo stesso legislatore. 
A fronte di alcune rilevanti e sacrosante misure, queste cosiddette spese fiscali comprendono una miriade di micro interventi che costituiscono assurdi privilegi per determinate categorie economiche e che quindi dovrebbero essere le prime ad essere tagliate per recuperare risorse. Sarà davvero il 2020 l’anno della riscossa o, ancora una volta, sarà invece l’ennesima occasione perduta?
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