Paolo Balduzzi
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Noi e l’austerity/ L’occasione crescita in compagnia del falco

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 11 Settembre 2019, 01:18
Come è passeggera la gloria del mondo, verrebbe da dire: l’estate era iniziata, perlomeno in Italia, nel segno del sovranismo, con la netta affermazione della Lega alle elezioni europee. Alle porte dell’autunno, è invece il Partito democratico che nomina il nuovo ministro dell’Economia (già Parlamentare europeo) e addirittura indica il nome per il Commissario europeo spettante all’Italia. 
Pochi crederebbero che siano passate solo così poche settimane. Non che quel risultato elettorale, peraltro piuttosto isolato in Europa, fosse foriero di chissà quali rivoluzioni. Ma era evidente che, per quanto animato dai soliti generici, irrealizzabili e - a volte - pericolosi proclami populistici, fosse il risultato di una forte volontà di discontinuità che la quasi metà della popolazione esprimeva nei confronti della politica europea, se non addirittura nei confronti dell’appartenenza stessa dell’Italia all’Unione. Con una battuta, potremmo dire che se l’Italia cercava maggiore influenza e potere all’interno delle istituzioni europee, l’ha decisamente ottenuta. 
E, paradossalmente, proprio grazie all’uscita della Lega dalla maggioranza di governo. Nel giro di mezza stagione, il nostro Paese mantiene la presidenza del Parlamento europeo e riceve l’appoggio di diverse e influenti cancellerie europee a seguito della proposta di Mattarella di rivedere le regole del Patto di stabilità e crescita.
E addirittura occupa la delicata e strategica posizione degli Affari economici in seno alla nuova Commissione.
Ne siamo lieti, sia chiaro. Ma al di là del prestigio che nomine di questo tipo possono dare all’Italia, che cosa si deve aspettare e augurare il nostro Paese? Vale la pena di utilizzare tutto questo spazio per sgombrare il campo da cinque possibili equivoci. Il primo: una buona riforma del Patto di stabilità e crescita dovrà rendere più facile la “crescita” (delle economie), senza tuttavia rinunciare eccessivamente alla “stabilità” (delle finanze pubbliche).
Una maggiore flessibilità delle regole può essere certo la benvenuta, ma solo se sarà orientata a stimolare davvero la crescita e non certo ad aumentare semplicemente la spesa o a finanziare sconti fiscali. Secondo: non strappiamoci i capelli (tra membri della maggioranza o tra governo italiano e Unione) per qualche euro speso in più o in meno. Fatta salva la spesa per interessi passivi sul debito, vero fardello che impedisce al Paese di provare a correre, che la spesa debba necessariamente diminuire è vero fino a un certo punto: al netto di quegli interessi, e misurata in percentuale al Pil, essa è infatti ben al di sotto di quella di altri Stati europei.
Certo, e qui sta il problema, la sua composizione è squilibrata in almeno due direzioni: da un lato, favorisce alcune generazioni rispetto ad altre (basti pensare all’enormità della spesa per pensioni sul totale, quasi il 40%, e all’esiguità di quella per istruzione, circa l’8%); dall’altro, predilige la spesa corrente a quella in conto capitale (gli investimenti). Se davvero si vuole stimolare la crescita, è su questa composizione che occorre attuare una rivoluzione. 
Terzo: anche se questi processi richiedono tempo, e anzi proprio per questa ragione, bisogna agire da subito. L’occasione è peraltro particolarmente ghiotta, visto il clima che si vive a livello europeo: la Germania rallenta, la Brexit non ha ancora una soluzione, i sovranisti sono comunque numerosi e sempre (elettoralmente) in agguato. È adesso che occorre insistere perché alcune tra le spese più strategiche (investimenti, ovviamente, ma anche spese correnti in ricerca e innovazione, istruzione, sostegno alle giovani generazioni e alle famiglie, etc.) ottengano una valutazione diversa rispetto alle altre. 
Quarto: era la flat tax che era sbagliata, non certo la necessità di tagliare le imposte, specie quelle sui redditi da lavoro. Ma dove trovare le risorse? Certo, si può sempre ritoccare (al ribasso) la spesa pubblica, ma, è inutile negarlo, senza un accurato e ripetuto processo di revisione della spesa si tratta di un compito che la politica non sarà in grado di compiere. Piuttosto, va potenziata la lotta all’evasione fiscale, tanto diffusa sia al nord sia al sud del Paese. Bene il riferimento di Conte in Parlamento al taglio del cuneo fiscale e alla sterilizzazione dell’Iva: restiamo curiosi di vedere come verrà finanziato e a spese di chi. 
Quinto, e ultimo, possibile equivoco: non illudiamoci che l’intera Europa stia facendo un favore esclusivamente all’Italia. Saremmo davvero ingenui a pensare che tutta questa abbondanza sia stata architettata per dare al nostro Paese infiniti spazi di manovra sul bilancio. A ben vedere, la finalità potrebbe essere proprio quella opposta. In politica, come in economia, non esistono pasti gratis, e ogni beneficio deve avere un prezzo o una contropartita.
Insomma, speriamo che questo tappeto rosso che ci è stato srotolato sulla carta non diventi un modo per legarci domani le mani con il vecchio rigorismo di certi Paesi del Nord Europa, additando magari lo scarso virtuosismo in materia di debito pubblico. Ogni riferimento al ruolo forte, per non dire quasi egemone, dell’ex vicepremier lettone, il falco Dombrovskis, è voluto. Per questo motivo, e a maggior ragione, sarebbe davvero controproducente sprecare l’occasione – forse l’unica, forse l’ultima - che ci è data. 
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