Nicola Latorre

Noi, l'Europa e i big/ Ora una bussola per le alleanze

di Nicola Latorre
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Lunedì 4 Maggio 2020, 00:09
Con il superamento speriamo definitivo della prima fase, la crisi pandemica che ha colpito pur con diversa intensità tutto il mondo, entra nella così detta fase due e ci si interroga su come sarà il futuro scenario globale. Appaiono evidenti i segni profondi che questa crisi lascerà nel tessuto socio-economico e si colgono già seri cambiamenti nei comportamenti individuali e collettivi.

Tematiche cruciali di questo tempo che stentavano ad imporsi come centrali nelle politiche pubbliche, da quella ambientale a quella delle politiche sanitarie, dovranno ora aggiungersi alle priorità nell'azione di tutti i Governi. Il modo in cui saranno gestiti tutti questi aspetti e gli sviluppi della partita in atto per ridefinire le nuove gerarchie e i conseguenti equilibri mondiali determineranno lo scenario globale di domani. Come sarà dunque il mondo dopo il Covid-19? Qualche giorno fa il Ministro degli Esteri francese Le Drian dichiarava che il mondo: sarà simile a quello di prima, ma peggio. Sarà proprio così? Si sente ripetere spesso che nulla sarà più come prima. Ma la sensazione è che quest'affermazione stia diventando un luogo comune, una frase vuota e addirittura fuorviante. E' noto quanto sia difficile che un evento pur rilevante possa modificare il corso della storia e variarne la direzione. D'altro canto siamo ancora immersi nella crisi e appare difficile intercettare ora le possibili evoluzioni future. Certamente si va verso una forte accellerazione delle dinamiche già in atto. Ad iniziare dall'inasprirsi della guerra fredda di nuovo tipo in atto tra la Cina e gli Stati Uniti. La pandemia avrebbe dovuto comportare un time out di ogni conflitto e uno spirito di collaborazione globale. E' invece accaduto il contrario e stiamo anzi assistendo a un vero e proprio uso politico della pandemia. La Cina l'ha utilizzata per sviluppare una campagna di comunicazione e una intelligente strategia di soft power ( la cosi detta diplomazia delle mascherine) tesa a guadagnare posizioni nei confronti degli Stati Uniti oltre che per scrollarsi l'immagine di Paese responsabile della tragedia. Dal canto suo Trump ha reagito radicalizzando lo scontro, ha prima contestato l'Oms e poi evidenziato le responsabilità cinesi nella diffusione del virus. Spinto anche da ragioni di politica interna tenendo conto che si avvicinano le elezioni presidenziali americane e questa radicalizzazione può tornare utile all'attuale amministrazione in chiara difficoltà nel governare la crisi pandemica.
In questo quadro, per nulla incoraggiante, solo la miopia delle classi dirigenti europee impedisce di cogliere la grande opportunità per l'Unione Europea di assolvere a un ruolo da protagonista con gli evidenti benefici economici e politici che ne deriverebbero. La collocazione geografica del nostro continente e la forza del mercato europeo, pur con le inevitabili conseguenze economico-sociali della crisi, rappresentano ancor più oggi un grande patrimonio che non a caso fa gola ai protagonisti del grande gioco. Affrontare e governare questa fase in una dimensione continentale non solo appare indispensabile ma avvantaggerebbe decisamente l'Europa.

Ne dovrebbe derivare innanzitutto per l'Italia, e non solo per essa, la consapevolezza che archiviare anziché rifondare il progetto europeo, come rischia di accadere, sarebbe un'errore fatale. Giusto pretendere il riconoscimento della solidarietà non a parole tra i Paesi dell'Unione, ottenendo il varo di strumenti indispensabili come il Recovery Fund, ricordando soprattutto ai partner più ritrosi la portata politica di questo passaggio. Del resto, la Cina già prima del Covid19 ha puntato su quest'area cercando proprio nell'Italia una delle principali sponde. Incoraggiata da alcune ambiguità e incertezze sin dalla vicenda del 5G. L'Italia è stata l'unico Paese del G7 a sottoscrivere quel memorandum con la Cina che aveva un marginale valore economico ma un rilevante significato politico. E ancora in questi giorni alcuni autorevoli esponenti della maggioranza hanno enfatizzato le forniture di materiale sanitario giunto dalla Cina, senza mettere sull'altro piatto della bilancia i rilevanti aiuti programmati dagli Usa. Il risultato è il tentativo di mettere sullo stesso piano la nostra relazione transatlantica e quella con la Cina. Insomma, sembra giunta l'occasione - pur tardiva in verità - di avviare una riflessione strutturale sul nostro quadro di alleanze evitando di rincorrere le contingenze. Ogni incertezza e ambiguità non porta beneficio al nostro Paese e rende più debole anche quella autonoma iniziativa politico-diplomatica necessaria a tutelare l'interesse nazionale. Occorre mettere a fuoco meglio e rafforzare il quadro delle nostre alleanze, tenendo conto dei grandi mutamenti all'orizzonte. 
 
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