Mario Ajello
Mario Ajello

Una Roma mai vista/ Quella scena da fine del mondo

di Mario Ajello
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Sabato 28 Marzo 2020, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 00:42
Una piazza vuota da fine del mondo. Come se fosse arrivato il Dies Irae. Come se l'Apocalisse fosse già tra di noi. E del resto l'immane tragedia del virus che sta aggredendo i popoli, e il nostro in particolare, consente di evocare le metafore più forti e sconvolgenti. Le immagini del Papa in piazza San Pietro deserta, battuta soltanto dalla pioggia e priva dei rumori normali che evocano la vita, raccontano con una forza particolare la situazione eccezionale che stiamo patendo. In quel vuoto c'è il pieno di un momento terribile. 

Mai Roma è apparsa così spettrale agli occhi di chi la abita e la ama e di chi la guarda e l'ammira da ogni angolo del mondo. Forse soltanto nel 312 l'atmosfera di paura e di desolazione sarà stata paragonabile a questa. Quando Costantino e Massenzio si combatterono alle porte dell'Urbe, e tutt'intorno vigeva un annichilimento generale. Un terrore indicibile. E i sacchi di Roma? Le devastazioni subite? Le incursioni e ogni altro tipo di aggressioni che i nemici di questa città rivelatasi invincibile hanno scatenato lungo i millenni? Restano nella grande storia, ma stavolta il silenzio e la desertificazione di piazza San Pietro somigliano a un salto di qualità, che richiede una prudenza di comportamenti ma anche un coraggio, e una fiducia in una vittoria difficile, che deve riguardare tutti. 
Un'esperienza unica purtroppo stiamo vivendo. E le immagini del Papa senza nessuno intorno, a parte un crocifisso da cui ci si aspetta il miracolo, per chi ci crede, e di un popolo chiuso in casa per rispetto del buon senso (e che non sta rintanato, come ai tempi della peste manzoniana, «per paura del senso comune») saranno difficili da dimenticare proprio perché quasi incredibili. Perché sono l'inedito e l'inaudito e rappresentano tutto ciò che non vorremmo vivere e che non vorremmo vedere. 

Non c'è un senso crepuscolare nelle scene di cui stiamo parlando. Ma un senso tenebroso. Ci fanno toccare con mano il buio in cui già siamo immersi. Una piazza svuotata per legge, per un ordine di autodifesa, per rispetto di norme che forse ci salveranno, non s'era vista neppure al tempo della cosiddetta «grande peste», quando i romani furono decimati dal morbo nel 1522. E proprio a quel periodo risale la leggenda, secondo cui il Cristo in croce della chiesa di San Marcello al Corso, quello baciato giorni fa da Francesco e ribaciato ieri urbi et orbi, libera le genti da ogni epidemia. 

L'unica luce in questa oscurità - Power in the darkness, verrebbe da dire citando una celebre hit volterriana della Tom Robinson Band - è sembrata la luce di Roma. Di una bellezza carica di significati, guardando queste immagini che passeranno alla storia. Nel meriggio romano che si fa sera, risplende in tutta la sua forza il colonnato di Bernini, lo stesso che - dice il Papa, ma non solo lui - abbraccia il mondo. L'azzurro del cielo di Roma prima che arrivasse la notte, e nella diretta di ieri questo passaggio è stato visibilissimo, non può che far sperare. Contiene idealmente una potenza che niente e nessuno potrà togliere a questa città che guida l'Italia in uno dei suoi passaggi più difficili, e non c'è altra capitale possibile in qualsiasi latitudine italiana, come stanno dimostrando le vicende della lotta al virus e i connessi errori nordisti. 

E insomma, ancora una volta, Roma nella sua desertificazione di piazza San Pietro è assurta a simbolo, come spesso le è capitato di fare. E' spiccata, e del resto è la sua vocazione, come il centro di misura del mondo. Riassumendone l'intera pena. 
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