Mario Ajello
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Scuola per ceti, ipocrisie a Roma: lo scivolone del Trionfale dice che il re è nudo

Scuola per ceti, ipocrisie a Roma
di Mario Ajello
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Giovedì 16 Gennaio 2020, 08:32 - Ultimo aggiornamento: 09:04

Da una parte il ceto alto, dall'altra il ceto basso. Qui i figli della buona borghesia, lì gli alunni provenienti dagli strati popolari. Con il minimo della mescolanza possibile. Può una scuola vantarsi di questi criteri per la composizione della propria comunità studentesca? La scuola Via Trionfale, che ha varie sedi, l'ha fatto e non è proprio bello da dirsi ciò che è stato pubblicato, e poi cancellato sotto il fuoco delle polemiche e l'intervento del ministro, dal sito di questo istituto. La scivolata è evidente. 

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L'effetto boomerang che ha provocato c'era da aspettarselo eccome. E mettere per iscritto, rivendicandola, la distinzione sociale tra gli alunni ha una sua schiettezza, quasi una brutalità, che può offendere.

Eppure, in tutta sincerità, chi non ha mai pensato iscrivendo i figli a scuola a che tipo di scuola li iscrive, non solo dal punto di vista didattico ma anche da quello ambientale? Chi non pensa al contesto - quanti parlano italiano correttamente, come sono composte le classi, quanto l'omogeneità di quella composizione aiuta o se magari invece penalizza, come garantire alla prole l'habitat più adatto a farli crescere a contatto con altri mondi ma non isolati in altri mondi - quando sceglie il percorso educativo per i propri ragazzi? Sarà pure politicamente scorretto il testo messo in rete dalla preside, ma dice che il re è nudo. Fa emergere il subconscio - che tanto sub non è, perché i genitori non fanno che chiedersi a vicenda: «Tu tuo figlio dove lo manderai alle medie? Ma la scuola che hai scelto che ambiente ha?» - di tante famiglie che sanno benissimo, fuori da ogni ipocrisia, che l'eccellenza scolastica non è slegata purtroppo dal contesto sociale in cui si esercita.

Sono sempre esistite e sempre esisteranno classi e sezioni nelle quali si trovano gli insegnati migliori e che spesso raccolgono in maggioranza gli alunni provenienti da realtà più fortunate di altre. Questo non significa che i simili devono stare con i simili. Anzi, la scuola oltre a garantire parità d'insegnamento e uguali opportunità per tutti dovrebbe avere una spiccata vocazione interclassista. Ciò non toglie però che il politicamente scorretto della preside romana - che magari poteva limitarsi a dire quello che pensa alla sua segreteria senza pubblicizzarlo senza filtri - tende a coincidere in fondo con quello che molti di noi sanno e che non giudicano affatto sconveniente: che le scuole danno un'indicazione sul tessuto socio-economico-culturale di riferimento.

Sta poi alle famiglie scegliere il più adatto per ognuna di essa. Si tratta di un approccio realistico, che nulla ha a che vedere con intenti discriminatori. Che poi un ragazzo di «ceto basso», per usare le brutte parole della preside, possa essere più bravo di uno di «ceto alto» - e spesso capita - non inficia il fatto che si debba ragionare su come assortire nell'interesse di tutti la scolaresca. Se è sbagliato allestire le classi-ghetto, è importante invece (e una delle casistiche proposte dalla preside è azzeccata: i figli dei ricchi con chi ha genitori «colf, badanti, autisti e simili») definire un mix di accurato e equilibrato per evitare l'effetto spaesamento in qualche studente. La crudezza nel discorso della preside c'è, ma è inutile seppellirla sotto una coltre di falsa indignazione.

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