Mario Ajello
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Raggi dichiara guerra agli alberi “fascisti

di Mario Ajello
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Mercoledì 27 Febbraio 2019, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 11:11
Gli alberi cadono? È colpa del fascismo! Oppure cadono perché sono vecchi fascisti in orbace? O magari il Ventennio - in cui fu perfino istituita la Festa degli alberi, con regio decreto del 30 dicembre 1923 - sbagliò ad avere, oltre alla camicia nera, il pollice verde, soprattutto nella Roma che il Duce tanto amava? Un’operazione botanica - il piano straordinario contro gli alberi che crollano e mettono a repentaglio la vita dei romani - diventa una questione storiografica. «Gli alberi che cadono sono quelli piantati durante il fascismo», spiega la sindaca. La quale prende atto giustamente che alcuni tronchi, che non reggono allo stress della modernità, vanno tagliati e rimpiazzati, ma sembra esserci un sottotesto e un discorso allusivo in questa storia politico-vegetale. Viene il dubbio che la Raggi - per giustificare l’operazione abbattimento, che è anche di buon senso se selettiva e non indiscriminata, e per aumentare l’effetto populistico dell’annuncio - abbia voluto citare proprio il fascismo in quanto simbolo di negatività. Anche quando la negatività, in questa materia, non c’è affatto. 
Anzi, molto della grande bellezza di Roma, dal punto di vista arboreo, si deve al Ventennio. E poi l’albero antico, se ben curato, è quello che dà particolare forza, vita e identità - come capì Ottorino Respighi nella sinfonia “I pini di Roma” che guarda caso fu scritta durante il fascismo, nel ‘24 - a una città e per questo va sommamente rispettato. E non degradato a vecchio arnese da rimuovere. Piantarne altri? Benissimo. Ma anche onorare come si deve gli esemplari storici. Senza dare adito alle battute che circolano sui social, del tipo: «A breve sarà colpa di Romolo e Remo la caduta dell’albero a viale Mazzini». Oppure: «Via gli alberi fascisti, e restano soltanto quelli antifascisti?». O ancora: «Il fascismo piantava gli alberi, e lo sfascismo li sega». 

Di sicuro, gli alberi romani hanno storicamente resistito a tutto: barbari, lanzichenecchi e guerre anche mondiali. E non si vede perché non debbano resistere ancora. Sono stati pure immortalati in grandi film: da “Roma” di Fellini alla “Grande bellezza” di Sorrentino, tanto per citarne due. E proprio Mussolini incaricò nel ‘39 un celebre botanico, architetto e paesaggista, Raffale De Vico, di organizzare tra l’altro la piantumazione degli alberi nelle grandi arterie stradali della capitale. A lui si deve la comparsa delle centinaia di pini sulla Cristoforo Colombo, che dovevano simboleggiare la striscia di continuità che dalla Roma classica del foro arrivava fino all’esperimento urbanistico del futuro Eur. Alberi geometricamente perfetti per il razionalismo italiano, impegnato sul fronte dell’Esposizione universale del ‘42, che poi non si sarebbe fatta a causa della guerra. 
Il capolavoro della sindaca sta però nel rischio di mobilitare a difesa degli alberi del Ventennio - e questo è un inedito assoluto, quasi uno scherzo della storia - gli ambientalisti da sempre seguaci del più arcigno antifascismo. Mussoliniani o antifascisti, monarchici o repubblicani, naturalmente vanno curati a prescindere, gli alberi. Anche perché sono tutti dello stesso colore: verde (non quello leghista). 

E se appassendo diventano giallo-verdi, non c’entra l’attuale governo. Ma a parte gli scherzi, e a prescindere dal Ventennio, più degli annunci servirebbero gli interventi. Più della strage occorrerebbe un approccio paziente. Ed è quello che finora è mancato. Richiamare in servizio De Vico, che grazie alla sua competenza lavorò anche dopo il fascismo, non si può. Ma tanto meno si deve scaricare sul passato, come troppo spesso si fa, anche la questione botanica e i pericoli che sta creando perché maneggiata male. 
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