Mario Ajello
Mario Ajello

Bergoglio grazia la sindaca, ma la Capitale è un calvario

di Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 27 Marzo 2019, 00:20
Lo scranno del presidente dell’assemblea capitolina, alle spalle del Papa, non è vuoto. Ma è privo del suo titolare, Marcello De Vito, travolto dagli scandali insieme a un pezzo della giunta. E quando Francesco platealmente si gira - una torsione scenografica pensata e voluta - verso quel punto in alto nella sala Giulio Cesare, l’attuale vicenda di Roma è come se entrasse tutta in questa inquadratura. Che resta, però, senza il sonoro. Bergoglio che parla sempre della corruzione come «una bestemmia» e come un «cancro che logora le nostre vite», che alla corruzione dedicò un libro quando era vescovo a Buenos Aires e che della lotta alla corruzione ha fatto un cardine del suo pontificato, la parola corruzione non la pronuncia. E l’espressione «mali di Roma» la usa per ricordare il celebre convegno, così intitolato, che Paolo VI convocò nel turbolento inizio degli anni ‘70 e che avrebbe contribuito a generare un cambio di passo politico, di cui anche oggi larga parte della città sentirebbe il bisogno ma è ancora lontano dal concretizzarsi.
Mentre gli attuali mali di Roma in questa occasione restano ai piedi del Campidoglio e in tutto il resto della città, il Papa sceglie di ambientare la sua presenza nel palazzo senatorio al netto di tutte le gravi criticità che stanno affossando la Capitale. La metro che c’è ma non c’è, le tre principali stazioni del centro che sono chiuse, le buche in cui si rischia di morire, gli alberi che si abbattono sui passanti, l’immondizia che si accumula e l’elenco potrebbe continuare. E dunque il Papa, nella sua infinita misericordia di francescano ma anche nel suo approccio da gesuita che conosce la realpolitik, dà la grazia alla sindaca, in un contesto nel quale Roma sta vivendo il suo calvario. 
Nessun riferimento diretto allo sfacelo Capitale, anche se alcuni passaggi dei discorsi papali - ieri ne ha fatti tre - contengono un messaggio forte. Questo: «L’auspicio è che si favorisca una rinascita morale e spirituale della città». E ancora: «Roma è un organismo delicato, che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo, per mantenersi ordinata e vivibile, perché tanto splendore non si degradi». E qui non ci sono sorrisi diplomatici, da entrambe le parti, quelli del Pontefice e quelli della sindaca, che reggano al peso delle parole. E non c’è dissimulazione onesta - così s’intitola il celebre trattato secentesco di Torquato Accetto, pieno di spunti ripresi anche dalla morale gesuitica - che possa ammorbidire la realtà di un giudizio. 
Di sicuro però non ha voluto infierire Bergoglio. E’ sembrato anzi mostrare un atteggiamento protettivo nei confronti della Raggi, come se la sua visita sul Campidoglio avvenisse in una situazione normale e non in una fase di emergenza cittadina e di straordinario degrado. L’arrivo del Papa ha sortito l’effetto di una mano santa più che quello di un richiamo vigoroso alle responsabilità civiche dell’amministrazione. I romani, anche quelli delle parrocchie, potrebbero dire: Santità, troppa clemenza? Ma Francesco ha scelto l’indulgenza distintiva di un pontefice. 
Roma ai suoi occhi è un faro della civiltà, eppure questa luce negli ultimissimi anni, in piena continuità con i precedenti, ha avuto ripetuti oscuramenti da mala politica che, nel momento in cui si ripercorre la storia gloriosa di una città universale, devono rientrare nella trama. Per renderla completa e per rilanciare, nel segno della vera discontinuità, il rango e il ruolo di Roma. Quello che Bergoglio, insistendo con particolare enfasi su Roma città accogliente, valorizza al massimo grado, ben sapendo che questo valore cristiano deriva dalla storia romana fin dai suoi inizi (il Natale di Roma verrà celebrato a giorni, il 21 aprile) e l’Urbe come modello laico d’integrazione dei popoli avrebbe rafforzato l’impero e sviluppato il mondo. 
Il riconoscimento alla maestà di Roma è anche fisico, e bastava guardare l’estasi del Papa mentre si affaccia dal balconcino del palazzo capitolino che dà sul foro. Ed è un’investitura importante quella contenuta nella definizione di Roma come cerniera tra il Nord Europa e il Mediterraneo, tra la civiltà germanica e la civiltà latina. O quando osserva che a Roma s’è realizzata la distinzione tra l’autorità politica e quella religiosa, nel rispetto reciproco, sta riconoscendo il merito a questa città di avere mantenuto la schiena dritta rispetto al potere spirituale. Ma alla luce di tutte queste considerazioni, forse i cittadini avrebbero sentito il bisogno di una presa di posizione - mai così opportuna come in questa fase, pur nella ovvia distinzione dei ruoli - più altisonante sul compito civilizzatore di questa città anche rispetto a se stessa, alle proprie pratiche amministrative, alla maniera in cui ci si occupa di quelli che dovrebbero essere gli interessi dell’intera comunità e che vengono invece piegati a convenienze particolari e, a leggere le inchieste, profondamente illegali. 
Il Papa è l’incarnazione della retta via, ma Roma ha imboccato ancora una volta la strada sbagliata e non basta la pietas per rimetterla in carreggiata. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA