Mario Ajello
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Dieci anni dopo/ Dal “Vaffa” alla svolta dorotea il tramonto del sogno grillino

di Mario Ajello
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Sabato 5 Ottobre 2019, 00:01
Nacque da un urlo, a Milano, il 4 ottobre 2009, dieci anni fa, il movimento 5 stelle. Beppe Grillo gridò: «I partiti sono tutti morti!». Invece sono bene o male sopravviventi.
Esattamente come i 5 stelle oggi. Hanno rappresentato una scossa, si sono rivelati un nuovo elemento di normalità. Il movimento di Grillo e di Casaleggio padre doveva essere l’«intelligenza superiore» incaricata di far emergere con qualunque mezzo, il web soprattutto, la «volontà generale»: una sorta di razionalità latente sedimentata nell’inconscio del corpo sociale che una volta solidificatasi e organizzatasi avrebbe prodotto nuova politica, nuove leggi, un nuovo modello di democrazia diretta (che invece s’è rivelata eterodiretta dalla Casaleggio Associati) in grado di superare l’arretratezza delle ideologie novecentesche e l’impianto istituzionale ereditato dal costituzionalismo classico. Nulla di tutto questo per ora è accaduto e la crisi di M5S - in cerca di un nuovo senso alla propria storia se quel senso ancora si può trovare tra venti di scissione e divisioni interne d’ogni tipo - nasce dal flop del sogno rousseauiano dell’«uno vale uno», della palingenesi sociale, della sublimazione dell’onestà a stella polare dell’agire politico e della mitizzazione del popolo come soggetto politico antropologicamente diverso dal professionismo partitico e dalla competenza castale. 

Brandelli di questa retorica resistono anche dieci anni dopo - si veda la prossima riduzione del numero dei parlamentari, tema sui cui i 5 stelle fanno ancora egemonia e il Pd s’accoda - e tuttavia sono venute meno la corrosività, l’aggressività, la carica contundente delle origini che facevano del non-partito governato da un non-statuto una variabile impazzita anti-sistema ma poi anche i grillini invecchiano («Chi contesta nel contesto / fa carriera assai più lesto», recita una vecchia rimetta) e finiscono per approdare al governismo e per incarnare a modo loro la stabilità e la continuità. Ennio Flaiano diceva che «gli italiani vogliono fare la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri. Sennò, niente». E così il movimento rousseauiano si sta rivelando arci-italiano. Compatibile con tutto. Era stato concepito M5S come una lunga festa en plein air di quelle, appunto, invocate da Rousseau, in cui ciascuno si vede negli altri. E viceversa è sopraggiunta la frammentazione e al posto dei meet up ci sono le correnti. Anche se del codice genetico qualcosa s’è salvato, per esempio il giustizialismo ma anch’esso ogni tanto sonnecchia, per motivi di convenienza di partito, com’è stato per Salvini nel caso della Diciotti o della Raggi in varie occasioni. 

<HS9>Ha un grande valore simbolico e politico il fatto che ieri, nel giorno del decennale, la scena è stata questa: Conte e Di Maio ad Assisi accarezzano il saio dei francescani. Certo, San Francesco appartiene ai miti fondativi del movimento - Casaleggio padre adorava e citava in continuazione il Poverello - ma c’è tutta la devozione neo-democristiana e tutta l’emancipazione dalle radici combat del grillismo nel pellegrinaggio dei due capi politici di questa comunità nella basilica in Umbria. Dove guarda caso, si vota tra pochi giorni. E l’uso propagandistico della religione è un’altra new entry in un partito che nacque laicista e perfino fricchettone con Casaleggio padre che credeva assai più nel Pianeta di Gaia che nel Paradiso, più nel Dio Web (ormai dimenticato a parte la ripetizione stanca dei voti sulla piattaforma Rousseau) che nella sacralità della politica tradizionale.

La quale invece è entrata a tutta forza nella pratica politica stellata, producendo abiure continue: le alleanze con gli altri partiti si possono fare e la regola dei due mandati è saltata a livello locale e così sarà su quello nazionale. E un altro elemento del neo-tradizionalismo stellato sta nella competition che s’è voluta adesso innescare a sinistra con l’alleato Pd. I due elettorati sono contigui e sovrapponibili e allora non c’è mossa 5 stelle, ma anche dem, che non miri a sfondare nella casa del vicino. L’abolizione del crocifisso, il voto ai sedicenni e lo ius culturae non sono altro che un preliminare del derby rosso-giallo destinato a diventare il marchio della legislatura. Ed è un bel paradosso. Il movimento che per 10 anni s’è detto né di destra né di sinistra alla fine ha scelto il suo campo e ha svelato la sua identità. Che non è diversa, semmai è promiscua. 
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