Uno splendido quarantenne al posto di un rinsecchito ottantenne. Ecco, Roma ha il nuovo albero di Natale e non è Spelacchio ma un abete colosso, un abetone, verdissimo e di razza tosta, e la sua specie a un nome altisonante: «abete nordmanniano», anche se Thomas Mann purtroppo non c’entra. Occhio invece al poeta Khail Gibran, il quale diceva: «Se un albero scrivesse l’autobiografia, non sarebbe diversa dalla storia di un popolo».
I romani questa verità la sanno bene. L’autobiografia di Spelacchio parlava infatti di una cittadinanza intristita e depressa. L’autobiografia dell’albero in arrivo a Piazza Venezia - dove bisogna pregare che non diventi brutto pure lui, lì in mezzo al traffico, alle buche circostanti e alle solite prevedibili lagne dei si stava meglio quando si stava peggio: Spelacchio era racchio ma simpatico, questo se crede ‘n fenomeno.... - può viceversa raccontare, attraverso i suoi rami rigogliosi e il suo atteggiamento spavaldo, che c’è sempre speranza e che insomma magari Roma si dà una mossa.
Ora va dunque salutato con gioia che l’atto di contrizione pagato dalla città dodici mesi fa abbia prodotto una voglia di riscatto grazie al forzuto arbusto - c’è già chi lo chiama Er Piacione - che sta per piantarsi al centro degli occhi di tutti. O sarebbe meglio parlare di voglia di speranza. Forse la stessa sindaca Raggi, liberata adesso dalla paura di una sentenza superata ha uno sguardo più positivo e più proiettato al futuro e quindi ha optato per un anti-Spelacchio. Con l’errore però - per spirito auto-ironico e per giocare con se stessa e con gli altri così: l’anno scorso ho sbagliato ma ora riparo - di chiamarlo sempre Spelacchio e di celebrarne le sorti nelle sue pagine social con questo slogan: «#Spelacchio is Back». Ma perché sempre l’inglese?! Perché inseguire in questo l’Ignazio Marino che ribattezzò Roma Capitale in «Rome and You»?!
E siccome “spes ultima dea”, proviamo a chiamare Speraggio quest’albero dell’ultima speranza della Raggi e soprattutto dei romani. Da Spelacchio a Speraggio, insomma, e siamo tutti pronti a rivolgerci così: «A Spera’, dacce ‘na mano!».

Mario Ajello
Chiamiamolo Speraggio/Da un albero fronzuto la lezione anti-declino

di Mario Ajello
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Giovedì 29 Novembre 2018, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 10:45
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