Mario Ajello
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Oltre il 25 aprile/ Il 4 novembre festa nazionale, dopo di lei tutte le altre

di Mario Ajello
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Venerdì 2 Novembre 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 08:51
È sempre stata una festa, quando il 4 novembre ancora era festa, più partecipata, interclassista, politicamente trasversale e non ideologizzata, rispetto a quella del 25 aprile. Non a caso, a introdurla nella vita pubblica, fu nel 1949 Alcide De Gasperi, statista tra i pochi nel nostro Paese di vera impronta liberale. E il Pci di Palmiro Togliatti, che si vantava del suo passato di alpino, gli si scatenò contro: «Non parli lui della Grande Guerra, perché fu deputato austriacante al parlamento di Vienna».
Una battaglia propagandistica violenta e pretestuosissima quella dei comunisti. Basata anche sul fatto che la Resistenza, nella retorica e nella memoria italiana, doveva primeggiare su ogni altro evento storico, nessuno degno - neppure il primo conflitto mondiale che è stato il completamento del Risorgimento e il vero atto di nascita della nazione - sull’epopea partigiana. Partigiana, appunto. 
Se il 25 aprile è sempre stato la festa dei vincitori contro i vinti, il 4 novembre è stato viceversa la festa in cui tutti sono vincitori, un momento corale, il riassunto di un Paese che aveva vissuto il conflitto ‘15-‘18 come la quarta guerra d’indipendenza, il coronamento di un percorso di unificazione, una guerra di popolo. L’opposto insomma della Resistenza, così perfettamente definita da Rosario Romeo, uno dei massimi storici italiani del secolo scorso: “Fu la lotta di pochi dietro la quale si sono nascosti in tanti, per nascondere le proprie colpe”. 
Dunque, il 4 novembre, abolito nel 1977 a causa dell’austerity ma in realtà per disaffezione o per ingiustificato disprezzo, ha tutto il diritto, le potenzialità e perfino l’obbligo di riprendersi il suo posto. E di prevalere, con buone ragioni, sul 25 aprile. Più che per elidere il giorno della Liberazione, per ribadire che il 4 novembre è la madre di tutte le feste. Comprensiva e coagulante, così larga e così aperta che al suo interno possono-devono starci gli altri pezzi di memoria tra cui il 25 aprile. Che non è riuscito a diventare la festa di tutti - anche perché derivante da una guerra civile tra italiani - e finisce spesso, pure in questi ultimi anni che pretenderebbero di essere post-ideologici, per venire usato al fine di nuove divisioni e di altre faziosità. Patendo a sua volta una mancanza di rispetto. 
La sfortuna del 4 novembre deriva anche dalla cultura di destra, basti pensare a Giuseppe Prezzolini per cui il 4 novembre era una “falsa vittoria” o all’immagine della “vittoria mutilata” che ha finito per suggerire l’idea sbagliata che quella vittoria proprio perché non pienamente riconosciuta in sede internazionale non poteva dirsi vittoria. E allora ha bisogno di un riequilibrio il 4 novembre. Di un meritato riscatto. Dovrebbe valere per quel molto che vale, ed essere finalmente liberata da ogni pregiudizio. Come quelli di certa sinistra e di una parte del mondo cattolico che hanno interpretato la Grande Guerra come incubazione del fascismo e per questo, per un malinteso pacifismo, per un internazionalismo che può andare pure bene ma non quando diventa retorica anti-nazionale, ha svalutato lungo i decenni e nel passaggio da un secolo all’altro il bisogno di questa celebrazione. Attardandosi in vecchi schemi, per cui la prima guerra mondiale sarebbe stata voluta dalla “borghesia” contro il “popolo” e da governi reazionari assetati di sangue proletario. 
Nel corso delle prime edizioni del 4 novembre, e poi anche negli anni ‘50 e ‘60, addirittura venivano organizzate contro-manifestazioni socialiste che inneggiavano alla Rivoluzione russa in polemica con la Grande Guerra Capitalistica e nelle fabbriche l’operaismo arrivò a definire il giorno della vittoria un “lutto nazionale” da dimenticare e da rinchiudere come uno scheletro nell’armadio. Mentre la Dc di De Gasperi, e successivamente quella di Aldo Moro, uno degli statisti più affezionati all’epopea del ‘18, cercavano di reagire come potevano a queste campagne. Per esempio effigiando, in piena guerra fredda, uno Stalin gigante che calpestava il monumento al milite ignoto. 
Si tratta ora di ridare al 4 novembre le giuste proporzioni nella classifica della memoria vivente - visto che, come insegnano i grandi storici, il passato non solo non è morto ma non è neanche passato - a una tappa della vicenda nazionale che, meglio di altre, è essenziale per capire che cosa siamo, che cosa vogliamo e che cosa dobbiamo essere. 
Giuseppe Mazzini diceva: “Dove non è patria, regna solo l’egoismo degli interessi”. E la patria non può rinunciare a celebrare con pienezza e con nuova consapevolezza il 4 novembre, mettendo questa data in cima al calendario laico e civile degli italiani.
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