Maria Latella

L’appello/Lo Stato ora segua l’esempio di mamma Giovanna

L’appello/Lo Stato ora segua l’esempio di mamma Giovanna
di Maria Latella
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Domenica 27 Ottobre 2019, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 09:32
Avrei voluto scrivere una lettera al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e alla signora Giovanna Proietti, la madre di Valerio Del Grosso. Lo faccio qui, sul Messaggero, parlando a due donne che possono, entrambe, dare un senso, una svolta, a questa brutta storia.

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Giovanna Proietti è una madre cosciente del percorso di autodistruzione imboccato dal figlio. Lui è “inconsapevole” (ma vedremo dopo che senso dare a questo aggettivo). Lei no. Per questo giovedì sera si è presentata al commissariato di San Basilio per dire: «Meglio in carcere che in mezzo agli spacciatori». Non è la prima madre ad aver preso questa dolorosa decisione. Ma sarebbe sbagliato non dare il giusto peso a questo gesto perché non tutte le madri e non tutti i padri vogliono affrontare la realtà. Per vergogna. Per fatica. Perché non si sa da che parte cominciare a chiedere aiuto. La signora Giovanna l’ha fatto. Ha chiesto aiuto allo Stato. E ora lo Stato deve dare una risposta. A lei e a tutte le madri e i padri che vivono nell’angoscia.

Per questo mi rivolgo ora al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. L’omicidio di Luca Sacchi può finalmente aprire quegli occhi rimasti ostinatamente chiusi in questi anni, sturare le orecchie di chi non vuol sentire. Non è solo Roma in mano ai clan della droga, lo è Milano, “capitale della cocaina” come da titoli di qualche giorno fa. E poi il Veneto (venticinque morti dall’inizio dell’anno, un paio di ragazzine uccise dall’eroina), Napoli, il Sud.

Allo Stato si chiede protezione, ma quale protezione ricevono i ragazzi su questo fronte velenoso? Se un adolescente realizza già dalle scuole medie che l’illegalità è socialmente accettata, come sarà la sua vita di adulto? Che cittadino potrà mai diventare?

Perché vede, ministro, non è solo di droga che stiamo parlando. Ma di un veleno ancora più insidioso. L’inconsapevolezza. L’incapacità di dare un peso al bene e al male. «Ho fatto una cavolata» ha detto Valerio Del Grosso alla polizia che lo ha arrestato. “Una cavolata” aver ucciso. Una cavolata girare con una pistola. Una cavolata pianificare una rapina. D’altra parte, raccontano le cronache, per Valerio Del Grosso e Paolo Del Pino, ventenni con un lavoro e con famiglie presenti, Facebook era fonte di ispirazione per evocare role model molto apprezzati tra i giovani maschi italiani: Pablo Escobar, Narcos, Scarface.

Modelli di riferimento come quelli offerti da certi trapper, romani e non, “Meglio essere in prigione che non avere un milione”. Inteso come milione di like, ma pure i soldi sono un’ossessione. “No glory no Life”. Questi ragazzini, ministro, parlano di “infami” come fossero mafiosi settantenni. Parlano di soldi come archeo capitalisti del secolo scorso. Per adeguarsi al modello Narcos, ministro, tutto vale. Non c’è confine tra legale e illegale. E si comincia presto, molto presto. Ne sono stata testimone qualche tempo fa, qui a Roma. Scendevo dalla scalinata che porta a piazza Annibaliano, quartiere Trieste, e mi ha incuriosito il gruppetto di tredicenni impegnati in una conversazione in viva voce. Discutevano al cellulare con un ragazzo che sembrava poco più grande di loro. Oggetto della trattativa una partita di “paglie”, canne si sarebbe detto ai nostri tempi: centocinquanta per l’esattezza, da smerciare poi a scuola. Poco distanti, due ragazzine coetanee chiacchieravano per i fatti loro. Indifferenti.

I giovanissimi spacciatori avevano facce da bambini. Uno pure gli occhiali da primo della classe. I loro genitori, residenti del borghese quartiere Trieste, magari pensano che “certe cose” capitano solo in periferia. E invece no. Capitano nella costosa scuola privata, o davanti a certi locali di Ponte Milvio. «Arrivano da noi ragazzini figli di grandi professionisti, di imprenditori che danno loro 150 euro a settimana di paghetta. Parlano come i rapper dei ghetti americani e vivono nei quartieri migliori» mi raccontava il titolare di una comunità di recupero a Milano.

«Ho cominciato a sniffare a tredici anni» ha confessato Valerio Del Grosso nell’interrogatorio. E se il modello vincente è quello di “Narcos”, se fare i soldi in qualsiasi modo è il sigillo del successo e non ti succede niente anche quando varchi il confine, chi può fermarti più? Solo tua madre, appunto. Da adesso in poi, e preventivamente, sarebbe giusto sperare anche nello Stato.
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