Marco Gervasoni

Tra Xi e Trump: gli interessi dell’Italia senza farsi “sudditi”

di Marco Gervasoni
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Lunedì 11 Marzo 2019, 00:00
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: amiamo gli Stati Uniti, che ci hanno aiutato più volte. Amiamo la loro cultura, anche nei suoi aspetti più lontani dai nostri. Ma amiamo di più il nostro Paese, l’Italia, che difendiamo infatti da chi vorrebbe renderci subalterni e perfino dall’Unione Europea quando dimostra di decidere sopra le nostre teste.
Qualcuno definirebbe tutto ciò “sovranismo” oppure “nazionalismo”. Non vogliamo insomma che l’Italia sia suddita di alcuno, pur nel quadro fondamentale delle alleanze siglate. Una linea, peraltro, ricca di una lunga tradizione, da Crispi a Giolitti, da Fanfani a Craxi fino a Berlusconi. La premessa, per così dire metodologica, ci serve per affrontare il macigno cinese, l’adesione al progetto “Nuova via della seta” che, non del tutto improvvisamente, è caduto, e sembra dividere le due componenti dell’alleanza giallo-verde, con i 5 Stelle decisamente schierati sul versante cinese, stavolta sovranisti total, e la Lega assai più guardinga, sovranista atlantica. 
La prudenza è più che legittima: nei suoi accordi la Cina, potenza economica, ha spesso posto in condizione svantaggiosa i partner. In più, tutti sanno che il governo giallo-verde è nato grazie a un’importante spinta dell’amministrazione americana.
Una spinta che l’ha sostenuto nel momento in cui tutti i cosiddetti partner europei lo sbertucciavano. E tuttavia, su tale questione, sarà bene abbandonare gli approcci fideistici e ragionare a mente fredda, tenendo ben presente un valore che a Trump pure è molto caro: l’interesse nazionale.

Il presidente Usa, infatti, ha innovato la politica estera americana, tanto che si parla già di dottrina Trump, perché ha abbandonato le fisime del cosiddetto «ordine liberale mondiale» con le sue propaggini neo-con, e ha posto, nelle relazioni internazionali, al centro l’interesse anche economico, oltre che strategico, degli Usa. Il deal, la ricerca degli accordi, lo hanno condotto persino a dialogare con uno Stato che uno dei suoi predecessori, Bush, aveva inserito nel cosiddetto “asse del Male”, la Corea del Nord, una spietata dittatura comunista.
Ecco, noi crediamo che anche la nostra politica estera debba ispirarsi al paradigma del deal. Nel caso della Cina, dovremmo sederci attorno a un tavolo e valutare quanto, in termini di nostro vantaggio nazionale, il rapporto ci possa arricchire. E al tempo stesso chiedere agli Stati Uniti che cosa ci garantiscono in cambio della rinuncia al dialogo con Pechino. 

Gli statunitensi sono pragmatici, e questa amministrazione in modo particolare. Né da Washington possono lamentare una nostra scarsa adesione agli sforzi della Nato: tutti sanno come i vari embarghi nei confronti della Russia costituiscano un grave fardello per la nostra economia. In un momento in cui la recessione è una realtà sempre più evidente, con quali garanzie gli Stati Uniti ci invitano a chiudere con la Cina? Tra l’altro, tutti parlano di ritorno della guerra fredda, che è in generale una grande sciocchezza, ma soprattutto in questo contesto: è noto infatti che Trump vorrebbe la pace con Putin, perché il suo nemico commerciale è Pechino. Un nemico però con cui Trump sta cercando di giungere, a sua volta, a un deal, a un accordo, proprio sul commercio. 
Non si possono infine accettare lezioni né dalla Ue né da alcuno dei suoi Stati membri. È evidente infatti che è proprio lo stato comatoso dell’Unione Europea a favorire le scorribande della Cina che, a questo punto, non avendo di fronte un interlocutore unico, tratta Paese con Paese. Quanto alle lezioni di Francia e, soprattutto, della Germania, che ci invitano a non dialogare con Pechino, da che pulpito! 
Tra Berlino e Pechino è da anni che si firmano vantaggiosissimi accordi per entrambi, in barba alla solidarietà atlantica, a quella europea e ai cosiddetti «valori liberali». Trump è per molti aspetti un modello pragmatico: mostriamo al presidente americano che anche noi abbiamo appreso la sua lezione.
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