Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

Priorità sbagliate/Infrastrutture pieno al Nord, ma il conto lo paga il Sud - di Gianfranco Viesti

Priorità sbagliate/Infrastrutture pieno al Nord, ma il conto lo paga il Sud
di Gianfranco Viesti
4 Minuti di Lettura
Giovedì 31 Gennaio 2019, 00:43 - Ultimo aggiornamento: 11:30
Sul versante leghista del governo si insiste sulla Tav, ed in generale sulla realizzazione delle infrastrutture. Ma, non sorprendentemente, ogni volta che si fa riferimento ad opere da avviare o completare, vengono citate, insieme alla Torino-Lione, solo infrastrutture al Nord. Non a caso quando si è parlato di referendum sulla Tav si è pensato che si dovesse votare solo al Nord (per quanto l’opera sia finanziata con risorse di tutti gli italiani). Come se il resto del Paese contasse meno; venisse dopo; avesse meno esigenze.

Purtroppo, invece, i gap infrastrutturali sono diffusi in tutta l’Italia, ma certamente in maniera più intensa mano mano che si scende lungo lo stivale. Vi sono divari storici. Essi sono stati aggravati dalle scelte dell’ultimo ventennio. E resi ancora più sensibili dal crollo degli investimenti pubblici con la crisi economica e l’austerità: scesi di un terzo, dal 3% al 2% del Pil nazionale. Basti ricordare alcuni dati sui trasporti: nel primo quindicennio di questo secolo gli investimenti delle Ferrovie sono stati per 44 miliardi al Nord, 24 al Centro, 14 al Sud.
Se ne accorge bene qualsiasi italiano prenda il treno. Lo scarto è evidente anche sul trasporto ferroviario regionale: ci sono più viaggiatori in Lombardia che nell’intero Mezzogiorno; il servizio regionale e locale è praticamente inesistente nelle due Isole, in Calabria, Basilicata, Molise, Abruzzo.

Il Centro-Sud (ma anche Piemonte e Liguria) sono pieni di linee ferroviarie chiuse o sospese negli ultimi anni. Lo stesso accade nelle città: i posti/km per abitante del trasporto pubblico locale sono oltre 16mila a Milano, meno di 7mila a Roma, 2.400 a Napoli: nel primo caso, fra il 2004 e il 2015 sono cresciuti del 20%; a Roma sono diminuiti del 21% e a Napoli del 33%.

Moderne infrastrutture sono necessarie in tutto il Paese. Nelle sue regioni più forti, per aumentarne la competitività; ma a maggior ragione in quelle più deboli, per rilanciarle. E’ necessario, gradatamente, completare le grandi reti ad alta velocità. Ma questo non significa solo avanzare verso Venezia. Ma anche collegare Genova, riconnettere Napoli e Bari (fra le due città da anni non vi è più alcun servizio ferroviario diretto), avanzare verso Sud lungo la Tirrenica in Calabria. E pur senza alta velocità, è altrettanto essenziale modernizzare l’Adriatica; così come le reti di trasporto trasversali fra Tirreno e Adriatico nel Centro Italia, che sono a livelli ottocenteschi; fornire un minimo trasporto ferroviario a Sardi e Siciliani. Ed è forse ancor più necessario intervenire sui nodi di traffico e sul trasporto pendolare, come si ostina giustamente a ricordare Legambiente col suo rapporto Pendolaria: benissimo l’alta velocità; ma ancor meglio restituire contemporaneamente un servizio dignitoso ai pendolari della Roma-Ostia o della Circumvesuviana, essenziali reti di trasporto di due grandi metropoli.

Il quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione impone interventi speciali per rimuovere gli squilibri economici e sociali. Da esso derivano le politiche di coesione nazionali (il fondo sviluppo e coesione, Fsc); ma esse sono sempre più misere e trascurate negli ultimi anni. C’è di più. Viviamo settimane di richieste gridate, accompagnate da false promesse, sull’autonomia differenziata regionale, per blandire la crescente, giustissima opposizione degli italiani del Centro-Sud. Come non ricordare, allora, che nella legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale, dalla quale nascono i “fabbisogni standard” dei comuni, era espressamente previsto che ad essi si accompagnasse ad un forte riequilibrio infrastrutturale? La qualità dei servizi che eroghi ai cittadini, dipende anche dalle tue condizioni strutturali. Esse vanno parificate, si diceva. Ma questo riequilibrio è rimasto totalmente lettera morta: in dieci anni non è stata nemmeno effettuata la “ricognizione” dei fabbisogni che era prevista. Un chiaro precedente delle promesse da marinaio che si sentono in questi giorni. 

Nella stessa legge di bilancio per il 2019, si perseguono gli interventi su quota 100 e reddito di cittadinanza. Destinando così benefici individuali, anche sensibili, a chi si ritiene che domani voterà per te. Ma pochissimo c’è sulle politiche di rilancio degli investimenti pubblici: che servono per domani e dopodomani; per il futuro di tutti i cittadini italiani. Specie dei più giovani. Le risorse per gli investimenti pubblici a bilancio sono ancora diminuite dopo l’accordo con la Commissione Europea: con tagli anche al Fsc e al cofinanziamento dei fondi strutturali.
Insomma: se si pretende di essere visti come favorevoli ad un rilancio infrastrutturale del Paese, non ci si può limitare alla giaculatoria (anch’essa con evidenti fini elettorali) sulla Torino-Lione. Ma bisogna ragionare in termini di sistema paese, di riequilibrio territoriale, di rilevanti investimenti su reti e nodi, su grandi e piccole opere. Una prospettiva, ci si rende conto, difficile per chi da sempre guarda programmaticamente più al proprio orticello che all’intero Paese.



 
© RIPRODUZIONE RISERVATA