Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

La deriva nordista/Chi fa male alla Capitale lo fa a tutto il Paese

di Gianfranco Viesti
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Giovedì 25 Aprile 2019, 01:10
Le questioni che solleva il provvedimento impropriamente definito “Salva-Roma” vanno ben al di là dei suoi contenuti, peraltro piuttosto modesti. 

Fra le ferite che impediscono al nostro Paese di riprendere a camminare ad un passo accettabile, e che si approfondiscono invece di chiudersi, vi è una sempre più forte competizione fra territori. In parte fisiologica, in un Paese così giovane, così differenziato e con una statualità così debole come l’Italia; ma solo se controllata. Accantonata davvero, forse, solo nel “trentennio glorioso” dopo la seconda guerra: nel quale, non a caso, l’aver puntato sui investimenti per la valorizzazione dell’intero Paese, e aver assunto una profonda attitudine unitaria, mise le ali allo sviluppo. Chiuso quel ciclo, rallentata la crescita, le contrapposizioni sono risorte, fino all’apparire sulla scena politica di movimenti esplicitamente territoriali. 

Ma è nell’ultimo decennio che sono esplose: da un lato per lo sgretolarsi e lo scomparire di istituzioni nazionali, come i partiti politici e in parte le grandi organizzazioni di rappresentanza. Dall’altro per la drammatica crisi e le sue conseguenze sulle pubbliche finanze, anche regionali e locali, i cui effetti profondi stanno continuando ad apparire alla superficie. 

In tempi di vacche magre, di crescente disaffezione e rancore dei cittadini, di sfiducia in un futuro comune, le lotte fra campanili sono tornate ad esplodere. La crisi ha messo il vento nelle vele dei localismi e dei separatismi. Basti pensare a come viene letta la necessaria revisione delle relazioni Stato-Regioni: non con un ridisegno valido per tutti, ma con un autonomia differenziata al Nord per garantirsi poteri e risorse, anche a spese degli altri, e frantumando governo e amministrazione centrale. 

<HS9>Una delle grandi vittime di questo clima è Roma. Come città, e come Capitale del Paese. Da sempre guardata con sospetto da non pochi, forse mai riconosciuta appieno come grande simbolo dell’unità, è tornata ad essere vista propagandisticamente come grande entità parassitaria che sfrutta e opprime le forze vitali dei “territori”: esperienze amministrative fallimentari, un crescente degrado urbano. Mentre in Germania è rinata insieme all’economia anche Berlino, in Italia è affondata (si è consentito che accadesse) con la crisi anche Roma.
<HS9>Ed è su questo sfondo che si staglia la rissa sulle norme sul debito capitolino.

Norme, per quanto se ne può sapere dai resoconti in assenza di testi pubblici, che ridisegnano gli assetti gestionali della debitoria fra Commissario e Comune in maniera neutrale per gli altri italiani; mirando opportunamente a rivedere il suo servizio, per ottenere una riduzione del carico di interessi; e un conseguente sollievo per i bilanci annuali della città e per i suoi contribuenti, gravati da aliquote Irpef ai massimi. Ma questo non sembra possibile nell’Italia di oggi. Un Paese in cui è partita un’offensiva tanto rumorosa nelle forme quanto distorta nei contenuti. In primo luogo perché confonde il giudizio sull’attuale amministrazione con le relazioni istituzionali fra governo e città: come se gli interventi debbano essere promossi o meno a seconda della simpatia che suscitano nel governo centrale i suoi reggenti pro-tempore e non il bene da preservare. Poi, perché sembra dimenticare origini e vicende della debitoria romana, che la collocano oggettivamente in una situazione completamente diversa rispetto alle altre città. Una storia lunga, in cui si sommano un debito storico riveniente dal secondo dopoguerra (dai costi di servizi municipali così come dalle somme extra-bilancio frutto di contenziosi giudiziari conclusi a distanza decenni dagli espropri); norme di “salvataggio” controverse, prese fra il 2008 e il 2010 da un governo di cui faceva parte la stessa Lega; successive gestioni problematiche per i bilanci, ma anche un ulteriore piano di rientro, fino ad oggi. Una storia che non può essere letta senza tener conto non solo della complessità ma anche dei sovra-costi legati alla funzione di Capitale. Chi dice banalmente: quel che si fa a Roma va garantito anche agli altri passa come una ruspa sulla storia e sulla realtà, magari pensando semplicemente che attaccare nordisticamente la Capitale porti voti, perché fa antipatia.

<HS9>Una discussione tutta impaludata nel presente, nel giornaliero. Incapace di guardare al futuro. E di porsi la domanda più importante: come far ripartire una grande stagione di investimenti pubblici, a Roma come in tutto il Paese. Le difficoltà della vita quotidiana dei romani, il degrado, la sfiducia nascono anche da una lunga stagione senza spazi nel bilancio per investimenti: non solo nuove opere, ma anche tutte le indispensabili manutenzioni. Non si tratta certo di garantire livelli di spesa corrente a carico degli altri (magari dimenticando che il comune di Roma è contribuente e non beneficiario del fondo di perequazione inter-comunale) ma di far ripartire quelle opere, piccole innanzitutto, ma anche grandi, che possono progressivamente aumentare la qualità della vita dei cittadini e l’efficienza delle attività economiche: bloccando quello stillicidio di “delocalizzazioni”, specie verso Milano, che sta impoverendo la città.

<HS9>Non si tratta di stabilire privilegi (come sostiene quella stessa Lega che oggi impugna il vessillo sovranità e aspira ad essere forza nazionale), ma di ragionare su quel che si può – sotto il profilo dell’equità fra cittadini e della sostenibilità dei conti pubblici nazionali – e che si deve fare per far ripartire la Capitale del nostro Paese. <HS9><HS9>La strada c’è: l’applicazione della legge 42 sul federalismo fiscale anche nelle norme, disattese come tante altre, per Roma; e i loro possibili contenuti, riprendendo magari la discussione che proprio questo giornale ha ospitato tante volte. Delle due l’una: o si lotta per spartirsi le briciole, solleticando localismi rancorosi, e rassegnandosi ad un futuro di piccole comunità irrilevanti sullo scenario internazionale e destinate ad un inevitabile declino. <HS9>Oppure si discute e ci si scontra, ma si mettono insieme regole e risorse per provare a ripartire insieme, come Paese. Nel primo caso, è inevitabile che il “salva-Roma” diventi rissa da cortile elettorale; nel secondo, l’occasione per ricordarsi che i grandi Paesi hanno grandi capitali. 

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