Francesco Grillo
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Imprese e cittadini/ Dalle tasse alla giustizia perché l’Italia è bloccata

di Francesco Grillo
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Mercoledì 13 Novembre 2019, 00:22
Subito dopo il Mozambico e subito prima della Birmania, per complessità del sistema fiscale. Riusciamo a precedere la Striscia di Gaza ma siamo dietro l’Albania, per capacità della giustizia civile di dare certezza che i contratti siano eseguiti. È la classifica della Banca Mondiale che non è esattamente un covo di turbo capitalisti e che ogni anno valuta la facilità di fare impresa in 190 Paesi del mondo, che fornisce quella che è la più plastica spiegazione dei motivi per i quali – al di là della vicenda drammatica di Taranto - l’Italia fa fatica ad attrarre investimenti e tecnologie. E, ancora di più, a trattenere il capitale umano che è indispensabile per poter anche solo pensare di avere un futuro.

Sono il fisco e la giustizia e – per essere più precisi – il livello di difficoltà dell’adempimento tributario e l’incertezza del diritto, i due fattori che, più di qualsiasi altro, hanno allontanato l’Italia da una battaglia per il ventunesimo secolo che si gioca sulla conoscenza. Su tutti e due i parametri siamo all’ultimo posto tra i ventotto Paesi dell’Unione Europea.

E non è solo questione di economia: a colpi di condoni e di cartelle, di una produzione legislativa che in nessun altro Paese è così vasta e, dunque, contraddittoria, stiamo sgretolando il Patto Sociale che fa una comunità.

È dalla qualità del sistema che regola il rapporto tra Stato e cittadini (fisco), e quello tra cittadini (giustizia) che - per Adamo Smith, il filosofo morale che diede legittimità all’impresa - dipende la possibilità stessa della “mano invisibile” del mercato di creare benessere. 

È questo il messaggio che emerge dalle classifiche internazionali e dalla ricerca che, sulla più specifica questione del fisco, il Think Tank Vision ha appena completato per il Consiglio nazionale forense, l’Ordine nazionale dei commercialisti e il Consiglio nazionale del notariato e che sarà presentata a Trento sabato prossimo. 

Ad essere penalizzata, dicono gli studi, non è tanto la capacità di attrazione di investimenti esteri (secondo l’Oecd nel 2017 abbiamo superato la Spagna anche perché nel frattempo le imprese italiane cominciano ad essere vendute a prezzi di saldo), ma la possibilità di dare a chi vuol dedicarsi al proprio lavoro senza preoccuparsi di un’incertezza diventata strutturale: quasi trecentomila sono i giovani italiani che nel 2017 sono scappati per poter coltivare una prospettiva.

Non necessariamente, tra l’altro, facciamo male su qualsiasi servizio pubblico che un’impresa usa: siamo tra i migliori nel proteggere e registrare proprietà private e in pochi Paesi proteggono i diritti degli azionisti di minoranza come in Italia. 

E, però, la prestazione sul Fisco e sulla Giustizia continua ad eludere decine di tentativi di semplificazione e sembriamo come intrappolati in un paradosso: lo Stato appare contemporaneamente invasivo e, spesso, impotente nel far rispettare le sue stesse regole. Dai confronti internazionali emerge che in nessun altro dei grandi Paesi europei ci sono così tanti controlli come quanti ce ne sono in Italia; e che, però da nessun’altra parte, secondo i dati della Commissione Europea, l’evasione fiscale, ad esempio quella sull’Iva, è così forte.
È, in realtà, la complessità ad essere la migliore alleata sia dell’evasione fiscale che della frode. Complessità determinata da uno stratificarsi di interventi legislativi di cui abbiamo perso il controllo: nella ricerca di Vision si conta che i tributi sulle imprese sono stati ridefiniti in Italia 40 volte negli ultimi trent’anni. Il risultato è il peggiore possibile: si rende difficile la vita ai contribuenti normali; si sottrae valore alle professioni; si creano aree di incertezza nelle quali diventa sistematica la ricerca del vantaggio competitivo attraverso la violazione delle regole. 

Ed è questo lo scenario strutturale rispetto al quale si consumano drammi come quello dell’acciaio: regole complicate rispetto alle quali si cercano strade d’uscita attraverso decreti ed eccezioni che, però, producono soluzioni sempre fragili e nuova incertezza. In questo contesto fare politica industriale è semplicemente impossibile. 

Non è, peraltro, vero che sono mancate le riforme. Ed in Italia hanno operato alcuni dei magistrati più coraggiosi e degli studiosi che più hanno contribuito a definire i principi di un ordinamento giuridico moderno. E, tuttavia, manca l’organizzazione: l’idea stessa che far pagare le tasse e erogare giustizia sia un servizio e non l’esercizio del potere di uno Stato sempre più debole. È mancata ai politici l’idea di dover agire non con interventi incrementali, ma con una riorganizzazione complessiva che non può, però, essere messa in discussione ad ogni Finanziaria. È mancata la consapevolezza semplice che il cambiamento non si fa affidandolo, interamente, ad una guerra di trincea tra interessi contrapposti. Sono quelli sul Fisco e la Giustizia i cantieri di cambiamento più importanti per chi voglia provare a far uscire l’Italia da un declino senza fine.
 
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