Enrico Vanzina
Enrico Vanzina

Canzone sui migranti, giù le mani da Zalone l’arci-italiano - di Enrico Vanzina

Canzone sui migranti, giù le mani da Zalone l’arci-italiano - di Enrico Vanzina
di Enrico Vanzina
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Martedì 10 Dicembre 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 12:24

Non appartengo alla categoria degli indignati. Ogni tanto, però, qualcosa mi indigna. Per esempio: la crociata dei politicamente corretti contro la canzone di Checco Zalone sul tema dell’immigrazione, a margine della campagna di lancio del suo nuovo film “Tolo Tolo”.
“Tolo Tolo” è il film di Checco Zalone che uscirà a gennaio. Appena il video è apparso in Rete, si è scatenato un putiferio: insulti al comico pugliese, tacciato di essere razzista e becero. Non credo che Zalone abbia bisogno di un portatore d’acqua. Parlo di questo triste episodio perché, ripeto, da uomo libero sono indignato.

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Siamo nel 2019 e trovo quasi elementare e patetico ricordare a questi crociati della correttezza che il loro modo di ragionare è preistorico. Sembra di essere tornati ai tempi in cui, fuori dai teatri dove si rappresentavano le sceneggiate, alcuni spettatori aspettavano l’attore che impersonava “o’ malamente”, il cattivo, lo insultavano e spesso lo riempivano di botte. Non riuscivamo a capire che “rappresentare” non significa “essere”. Siamo ancora lì.
Zalone, con la sua canzone, una divertentissima parodia del melodico italiano, alla Celentano e alla Toto Cutugno, mette in scena il lamento di un modestissimo italiano medio che si sente accerchiato dal mondo dell’immigrazione. Ripeto ancora: Zalone lo mette in scena, non dice di condividere il pensiero del suo personaggio. Lo fa perché questo tema è il tema centrale della vita italiana di oggi, soprattutto come dibattito politico. È attualità pura. E lui, che osserva da umorista - magari con qualche scivolata di gusto - l’attualità, ha tutto il diritto, quasi l’obbligo, di farlo. Invece no. Per molti integralisti della correttezza non ne ha facoltà.
Cari censori, la satira è la linea di demarcazione assoluta tra una democrazia e una dittatura. Un Paese che non sa accettare la satira è un buco nero. Un Paese è serio se sa ridere di se stesso.

Mi indigno, oltretutto, perché quello che sta capitando a Zalone è capitato negli Anni ‘80 a mio fratello Carlo e a me. In quegli anni di edonismo, di berlusconismo nascente, abbiamo realizzato diversi film sulla realtà che ci circondava. La Milano da bere, la crescita di una borghesia arricchita e cafona, lo yuppismo. Ebbene, la critica militante di allora tacciò i nostri film come “fiancheggiatori” di quel modo di essere. Che babbei. Noi facevamo satira. Mostravamo, in satira, l’Italia vera, quella vissuta, non quella che avremmo voluto che fosse. 
E oggi, con il tempo, quei film sono considerati in maniera quasi unanime dei reperti sociologici della nostra identità nazionale. Succederà anche a Zalone. Gli zelanti e i fessi vengono sempre spazzati via dal Tempo, che è il critico galantuomo per eccellenza. Tra un po’ si continuerà a ridere con Zalone e si riderà anche molto di chi lo ha stoltamente criticato. 

Per concludere, vorrei far salire il dibattito un gradino più in alto. Zalone ha fatto una operazione molto sofisticata. Avendo scelto nei suoi film di essere (come faceva Totò) il re degli ignoranti, Zalone si permette di dire la verità, rivelando i disagi e le contraddizioni della società. Un po’ come il bambino della favola di Andersen che con il suo candore dice “il re è nudo”.
Mi spiego. Nella sua canzone, Zalone mette in bocca al suo personaggio tutto quello che molti italiani colti e civili non vogliono ammettere. Cosa? Semplice: esistono altri italiani meno colti e meno corretti che davvero non riescono a districarsi nella complessa trasformazione di una società travolta dall’innovazione. Non sono per forza razzisti, sono in larga parte davvero spaesati, confusi e spaventati. E’ un dato di fatto. E la commedia ha tutto il diritto di raccontarlo. Senza dover essere tacciata di “collaborazionismo” al pensiero retrogrado. Mi sembrava che l’antica “superiorità morale” di una parte politica fosse stata travolta dalla sua conclamata amoralità. Non è così. Ne prendo atto.
Ma mi indigno.

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