Francesco Grillo
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Scommessa storica/ L’Ucraina da ricostruire, un’occasione di rilancio

di Francesco Grillo
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Giovedì 19 Gennaio 2023, 00:05

Quanto costa riparare ciò che i russi hanno distrutto in un anno di “operazioni speciali”? Per avere un’idea del baratro dal quale l’Ucraina dovrà, prima o poi, uscire, è utile osservare le fotografie di alcune delle città che hanno la sfortuna di essere collocate vicino al lunghissimo fronte (1.300 chilometri) della guerra. Le foto sono scattate dai satelliti che sorvolano Bakmut (dove infuriano, in questo momento, i combattimenti più cruenti) o Kherson (che è stata riconquistata dagli ucraini qualche mese fa). Le città sono scomparse. Gli edifici non sono solo sventrati come succede per quelli colpiti lontani dalla trincea: le bombe sembrano averne strappato le fondazioni dalla terra. In alcune zone, gli ordigni hanno trivellato le campagne in maniera così fitta da averne cancellato i colori.

Al posto del verde e del giallo di quello che era uno dei primi produttori del mondo di mele e grano, rimane un grigio indistinto e il primo problema sarà rimuovere enormi quantità di detriti.
La questione che le fotografie satellitari pongono con grande crudezza è quella della ricostruzione di un Paese che potrebbe diventare, tra non molto tempo, il più grande dell’Unione Europea e ciò pone tre problemi. Quantificare le cifre necessarie stabilendo se l’obiettivo è solo il ripristino della situazione preesistente o se invece è anche quello di affrontare debolezze  che rendevano vulnerabile l’Ucraina anche prima della Guerra. Capire chi paga e come si può costringere l’aggressore a rispondere dei danni. Definire quali sono i meccanismi che garantiscano certi risultati alla comunità internazionale e a chi investe.
La Banca Mondiale stimava - al primo giugno del 2022 - che il costo della ricostruzione era di 349 miliardi di dollari. Più precisamente, la Kiev School of Economics calcolava in 127 miliardi il conto per ripristinare le infrastrutture - ponti, dighe, pali di alta tensione e strade - fatti saltare dagli attacchi. E, tuttavia, solo il calo del Prodotto Interno Lordo (crollato, secondo la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo del 30% nel 2022) vale 60 miliardi. Tuttavia, il conto è destinato, ovviamente, a crescere ancora di più (di circa un paio di miliardi al giorno) se il conflitto dovesse proseguire, laddove cambierebbe se cambiasse anche l’obiettivo che la ricostruzione si pone.


In realtà, infatti, anche prima dell’invasione, l’Ucraina soffriva di una lunga malattia che la rendeva instabile. Nel 1991 (quando ne fu proclamata l’indipendenza dall’Urss) il Paese ospitava 52 milioni di persone, diventate 43 quando Putin ha ordinato ai carrarmati di varcare il confine. Ogni singolo anno, negli ultimi trenta, la popolazione dell’Ucraina è diminuita. Sia perché quelli in età di lavoro sono emigrati in Europa (molte badanti, tanti muratori); sia perché la speranza di vita di quelli rimasti, si è accorciata: nel 2019 era di 66 anni, 12 meno di quella media in Europa (anche per l’abuso di fumo tra gli inoccupati).

Nei mesi successivi all’invasione, altri 8 milioni di rifugiati hanno lasciato il Paese portandolo sull’orlo di una catastrofe demografica forse, persino, peggiore della guerra.


E, però, negli ultimi mesi qualcosa è cambiato: da settembre, sono tornati circa 1 milione di rifugiati e tra quelli che già vivevano in Europa, la percentuale di coloro i quali sperano di fare ritorno è salita dal 48 al 72%. Nella tragedia, gli ucraini potrebbero aver ritrovato l’orgoglio di combattere una guerra che riguarda anche chi li ospitava. Una ricostruzione dovrebbe, dunque, mirare non solo a ricostruire ma a valorizzare la possibilità di un rilancio puntando non solo sulla sostituzione delle strade abbattute ma sulla costruzione di opportunità nuove. Ciò potrebbe paradossalmente abbassare il costo della ricostruzione, se riuscissimo a far tornare a Kiev tanti giovani laureati.


In secondo luogo, va stabilito chi paga e come fare in modo che i russi si assumano le proprie responsabilità. C’è, in realtà, un precedente: quello del fondo per la compensazione dei danni subiti dal Kuwait dall’invasione da parte dell’Iraq nel 1990. Il fondo istituito dalle Nazioni Unite, distribuì circa 50 miliardi di dollari di indennizzi usando i ricavi della vendita del petrolio dell’Iraq (per dodici anni fino alla destituzione di Saddam Hussein). La proposta è in questo caso quella di finanziare la ricostruzione usando non solo i capitali degli oligarchi congelati nelle banche occidentali (e nei paradisi fiscali): il New Lines Institute stima una cifra potenziale di due mila miliardi. La riparazione, tuttavia, andrebbe affiancata da un contributo da parte di tutti gli Stati interessati ad un’Ucraina più forte e, dunque in primo luogo, dall’Unione di cui l’Ucraina farà parte. Con strumenti che massimizzino l’attrazione di investitori privati, soprattutto se, appunto, l’obiettivo fosse quello non solo di ricostruire ma di rilanciare un grande Paese.


Infine la questione di chi controlla la ricostruzione. Che è collegata alle prime due. La democrazia ucraina, assai fragile prima della guerra, potrebbe, come dicevo, aver trovato nella tragedia una credibilità nuova. E, tuttavia, paesi come l’Italia, che dovrebbero più fortemente investire in questa che è una scommessa storica, devono contare di più nel disegno degli strumenti finanziari.
La guerra nel cuore dell’Europa sembra averci scaricato in un tempo fuori dal tempo. Combattuta con ordigni da ventunesimo secolo, scavando trincee come se fossimo tornati ai conflitti immobili di un secolo fa. Ricostruire significa non solo pagare e far pagare un conto. Ma ricordarci che solidarietà e efficienza economica possono coincidere.


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