Francesco Grillo
Francesco Grillo

Transizione lenta/ Quanto pesa il ritardo dell’Italia nel digitale

di Francesco Grillo
5 Minuti di Lettura
Lunedì 22 Novembre 2021, 00:15

Nei prossimi anni la capacità di trasformare informazione in conoscenza determinerà – più di qualsiasi decisione macroeconomica – il destino di Paesi, imprese e individui. Non saranno sufficienti montagne di dati per generare benessere per tutti e, però, anche solo per poter partecipare ad una partita così decisiva bisogna essere dotati di una infrastruttura minima fatta di reti e di competenze. Vittorio Colao, il ministro per la Transizione digitale, sta lavorando alla creazione di quello che è il sistema nervoso pubblico dell’Italia del 2030 e, tuttavia, è la stessa Commissione Europea a far notare che l’Italia sconta ancora ritardi gravi. Per accelerare con intelligenza, occorre una strategia fatta di infrastrutture digitali ma anche di pochi ma efficaci progetti capaci di dimostrare come si può fare un salto sui tre indicatori che davvero contano. 

L’indice di avanzamento digitale dell’economia e della società (Desi) che ogni anno la Direzione generale per le politiche digitali della Commissione Europea (DG Connect) compila, registra un miglioramento dell’Italia nell’ultimo aggiornamento pubblicato: nella classifica complessiva siamo al ventesimo posto e conquistiamo cinque posizioni, ma ciò è dovuto ad una modifica della metodologia utilizzata. 

Preoccupa però la misurazione dell’utilizzo di Internet (che è, ormai, un servizio essenziale) tra i gruppi sociali che ne avrebbero più bisogno. Tre sono i problemi più evidenti. Sono il 76% gli italiani che si connettono alla rete quotidianamente e la media comunitaria (80%) non sembra lontana. Tuttavia ciò che sorprende è il tipo di diseguaglianza digitale che emerge. A fare la differenza non è tanto il titolo di studio (tra quelli che non hanno completato la scuola media l’utilizzo è al 72%) e neppure il reddito, ma l’età. Nella fascia di età tra i 65 e i 74 anni, sono meno della metà (42%) gli anziani che utilizzano Internet e la percentuale crolla al 12% tra quelli con più di 75 anni. 

Queste percentuali dicono che la transizione ha nelle persone non giovani una delle proprie sfide più importanti. Non solo perché l’Italia è il Paese più vecchio dell’Unione (quasi 14 milioni di italiani hanno appunto più di 65 anni), ma perché gli anziani sono nettamente i maggiori utilizzatori di servizi bancari e sanitari che si stanno fortemente informatizzando. In secondo luogo, la capillarità della cosiddetta banda larga. Come numero di famiglie che accede a quella più veloce (superiore a 100 Megabit per secondo) siamo quasi al 30% e avanti alla Germania. Se però consideriamo il tipo di infrastruttura che servirà per far viaggiare chirurgia e didattica del futuro, solo il 10% delle famiglie che abitano nelle zone rurali ne sono fornite e torniamo ad essere terz’ultimi. Questo è un problema perché sono 11 milioni gli italiani che vivono in campagna; e potrebbero aumentare grazie al “lavoro a distanza” e ne avrebbe grande bisogno un Paese che ha molte delle sue attrazioni nei borghi.

Infine, un parametro che è fortemente collegato ai primi due: la frequenza con la quale gli italiani interagiscono con le amministrazioni pubbliche attraverso canali digitali. Siamo, ancora, dietro a tutti gli altri (tranne la Bulgaria e la Romania) e se, secondo la Commissione, in Italia sono solo il 17% i cittadini che hanno completato un’intera pratica burocratica attraverso la rete nel 2020, in Spagna siamo al 45% e in Francia al 64. È un dato che in parte dipende da una mancanza di competenze da parte dei possibili utenti (e, appunto, dalla loro età). Ma, in parte non minore, da un errore, ripetuto infinite volte, di replicare nel mondo virtuale gli stessi processi (inefficienti) usati nelle procedure utilizzate negli uffici fisici; e dalla frammentazione tra banche dati (quella che impedisce a ventuno sistemi regionali di scambiarsi i dati e agli ospedali di farlo con le proprie Asl).
Ne esce un quadro che non può che condizionare fortemente la strategia per la transizione digitale: più di un terzo degli italiani non ha ancora gli strumenti tecnici per partecipare; l’80% del territorio non è ancora raggiungibile dai servizi che servirebbero per ripopolarlo; meno del 20% dei cittadini è abituato a utilizzare i servizi pubblici digitali. 

Ciò genera, da una parte, congestioni in uffici che in altri Paesi chiudono e, dall’altra, isolamenti dolorosi.

Perdite di efficienza e diseguaglianze nuove. Un contesto che può produrre, contemporaneamente, sia esclusione che poca innovazione. Del resto, i numeri della Commissione dimostrano che anche le imprese soffrono (solo il 12% vende usando piattaforme di commercio elettronico) perché condizionate da una società che fa fatica ad entrare in un secolo cominciato ventuno anni fa. 

Il rapporto europeo aggiorna al 2020 le proprie analisi e fotografa, quindi, la situazione che il governo Draghi ha ereditato. Un quadro che può essere ribaltato solo se riusciamo a concepire – come Paese – un progetto di lungo periodo, con chiarissimi obiettivi intermedi e che sfugga a strumentalizzazioni politiche suicide. 
È giusto lavorare ad una casa pubblica dei dati degli italiani; concepire una riorganizzazione (si spera radicale) delle amministrazioni, come fa il ministro Brunetta; e provare a completare l’infrastruttura digitale in tempi brevi. E, tuttavia, la pubblica amministrazione e i suoi tavoli non bastano. 

Ci sono grandi gruppi assicurativi italiani che lavorano con start up alle tecnologie che possano trasformare le polizze sulla salute in servizi finalizzati ad aumentare il benessere delle persone. A Novara e a Lucca associazioni di giovani e di anziani collaborano per disegnare applicazioni nuove che rendano più semplice usare la rete. Vengono dai colossi di Internet alcune delle interfacce che rendono più facile agli ottantenni leggere un libro o prenotare una visita. 

Non riusciremo nell’impresa che Mario Draghi ci propone, se non coinvolgiamo nella trasformazione anche tutto il talento imprenditoriale che è rimasto. Se non dimostriamo - subito e tangibilmente - che essa raggiunge la quotidianità di un numero sufficiente di persone che sentano la modernizzazione un progetto da difendere.

www.thinktank.vision

© RIPRODUZIONE RISERVATA