Alberto Brambilla*
Alberto Brambilla*

Il nodo sussidi/I tecnici che servono al mercato del lavoro

di Alberto Brambilla*
4 Minuti di Lettura
Giovedì 18 Novembre 2021, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 21:34

Se volessimo scattare una fotografia del mercato del lavoro italiano a fine settembre (ultimi rilevamenti disponibili), la potremmo sintetizzare così: migliorano ancora i livelli occupazionali, il Pnrr non è ancora partito ma già mancano circa 500mila lavoratori che le imprese non trovano e, nel contempo, assistiamo oltre 4,5 milioni di persone con reddito di cittadinanza, cassa integrazione e indennità di vario tipo. Iniziamo con le note positive, l’occupazione: i dati Istat indicano anche a settembre un aumento di 59mila occupati con un recupero rispetto al 2020 di 273mila unità e più 507mila dall’inizio dell’anno, il che ha consentito un quasi totale recupero del crollo degli occupati provocati dalle due ondate pandemiche dell’anno del Covid quando si è passati dai 23 milioni 376mila del 2019 ai 22 milioni 839mila di fine 2020 (-537mila).

La maggior parte delle nuove assunzioni, com’era prevedibile, sono a tempo determinato con 97mila nuovi posti in più nell’ultimo mese e 353mila rispetto ad un anno fa soprattutto nel settore dei servizi, prevalentemente stagionali, che sono stati i più penalizzati dalla pandemia; tra le nuove assunzioni spiccano le categorie che hanno sofferto di più il blocco delle attività, come le donne che recuperano 139mila posti (ne avevano persi circa 280mila) e gli under 34, con 220mila nuovi ingressi il che riduce il numero degli inattivi di 280mila unità.


Nonostante ciò, restiamo penultimi nelle classifiche sui tassi di occupazione dei 27 Paesi più UK, molto vicini alla Grecia e distanti 9,6 punti percentuali (equivalenti a 3,8 milioni di lavoratori) rispetto alla media Ue e a circa 15 punti dai Paesi del Nord Europa. Un numero di nuovi potenziali posti non molto distante da quello delle persone attualmente assistite con soldi pubblici; infatti, tra reddito di cittadinanza (circa 3,3 milioni di persone), casse integrazioni Covid, in deroga, indennità per la disoccupazione (Naspi, Discoll e varie) e bonus di ogni tipo, ammontano - come detto - a 4,5 milioni gli italiani sussidiati, quasi tutti in età di lavoro. In altre parole, se sommiamo questi 4,5 milioni ai circa 7,9 milioni di pensionati assistiti e considerando che a ogni contribuente corrispondono 1,44 cittadini, crescono a quasi 18 milioni i cittadini assistiti con i denari dei contribuenti.


Quanto alla Cassa integrazione guadagni, che il ministro Orlando vorrebbe addirittura estendere alle aziende decotte e a quelle con più di 5 dipendenti, vale la domanda: chi controllerà questi nuovi beneficiari all’interno di piccole realtà che comprendono la quasi totalità delle attività commerciali, artigianali e di servizi oltre a quelle turistiche? Con quale esercito di ispettori? Con grande probabilità avremo abusi forse peggiori di quelli perpetrati attorno al Reddito di cittadinanza. Figurarsi poi se dovesse passare l’ipotesi sugli ammortizzatori sociali e sui lavori gravosi proposta sempre dal ministro Orlando: sarebbe ancor più difficile trovare gente disposta a lavorare.

Sicché continueremo ad avere tante difficoltà non solo per le posizioni qualificate ma anche per buona parte delle mansioni con bassa qualificazione; un tema sul quale si dovrebbe riflettere a lungo.


Il fatto poi che la maggior parte dei contratti siano a termine, non significa che si sta precarizzando il lavoro e che quindi devono essere ripristinate le limitazioni normative per le assunzioni a termine sospese nel corso della pandemia: semplicemente, stiamo entrando in un nuovo modello di sviluppo, peraltro buoni ultimi. L’auspicio è che nessuno voglia tornare al cosiddetto “decreto Dignità” che non aveva nulla di dignitoso ma che ha fatto perdere a centinaia di migliaia di giovani una opportunità di lavoro in una società sempre più liquida e dinamica dove il posto fisso può essere prevalente solo nel pubblico e nelle aziende medio grandi.
Il tema vero sono le politiche attive del lavoro per le quali si vedono poche o nulle novità, ridotte a una controriforma degli ammortizzatori sociali che allunga i periodi di sussidio, riduce le contribuzioni e dilata, come detto, la Cig. Così torneremo a prima del Jobs Act con centinaia di migliaia di lavoratori stagionali che da oltre 20 anni lavorano per 6 mesi e sono assistiti per i restanti 6: ovviamente ampliando a dismisura il lavoro irregolare per non perdere il sussidio.


Come se ne esce? Occorrerebbe un pacchetto di politiche attive a partire dalla messa in rete dei centri per l’impiego, delle università, delle scuole professionali e delle agenzie private per il lavoro; senza un collegamento “arterioso” (l’anagrafe generale) non c’è alcuna possibilità di successo, mentre la rete andrebbe ampliata con “applicazioni” di cui potrebbero beneficiare tutti gli interessati, i giovani in primis. Occorre poi mixare le politiche attive che sono materia regionale, con gli interventi assistenziali perché senza una gestione complessiva delle due azioni per il lavoro (sostegno e avviamento) aumentare l’occupazione sarà difficile. Infine si dovranno collegare, ripristinandoli, i corsi per ragionieri, geometra, periti industriali insieme alle scuole professionali, alberghiere ed edili per fare qualche esempio, sostenendo le attività artigianali e commerciali che continuano a perdere in termini di occupazione (-150mila rispetto al 2020). Solo un ampio coinvolgimento delle Regioni e la messa a terra delle azioni descritte, risolverebbe il grave problema della mancanza di specializzazioni. Se non si agirà in fretta, anche la bella ripresa che sta rilanciando il nostro Paese, entrato nel novero dei più dinamici, potrebbe essere compromessa o rallentata. E con essa i benefici del Pnrr.


*Itinerari Previdenziali

© RIPRODUZIONE RISERVATA