Paolo Balduzzi
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​L'analisi / Se investire nella scuola fa bene a tutto il Paese

di Paolo Balduzzi
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Lunedì 18 Settembre 2023, 23:44
La scuola e lo sport hanno somiglianze e differenze. Entrambi insegnano valori quali il rispetto degli altri, la condivisione, il gioco di squadra. Tuttavia, se la competizione può essere considerata l’obiettivo dello sport, lo stesso non può dirsi dell’istruzione. E ciò vale sia quando a essere valutati sono gli alunni sia quando a essere valutati sono gli istituti scolastici o i sistemi d’istruzione nel loro complesso.
È con questo spirito che bisogna sfogliare le centinaia di pagine e le decine di tabelle che compongono la recentissima pubblicazione periodica dell’Ocse, “Education at a glance 2023”, in cui tale organizzazione internazionale presenta criticità e debolezze dei sistemi scolastici nei Paesi membri. 
I numeri e le cifre, gioco forza, portano a fare i confronti: si potrebbe quindi cogliere l’occasione per lamentarsi di quanto l’Italia sia peggiore rispetto agli altri Stati. Più utile di perdere tempo a redigere classifiche, tuttavia, è provare a capire cosa questo rapporto racconti del nostro Paese, quali i possibili effetti e quali, soprattutto, le cause. 
Si scoprirebbe, o per i più informati si troverebbe conferma, che in Italia l’istruzione, soprattutto quella terziaria (l’università), rende ancora poco, che i benefici da un titolo di studio superiore sono contenuti e quindi poco appetibili, specialmente in alcune materie. Oppure che la distanza tra uomini e donne comincia già dalla scuola, visto che i primi, nonostante prestazioni scolastiche in media inferiori a quelli delle seconde, hanno da subito maggiore facilità nel trovare lavoro. 
O, ancora, che il nostro Paese spende molto poco in istruzione: non solo rispetto all’estero ma anche rispetto a quanto si spende a favore di altre generazioni. Infine, ma si potrebbe continuare, che sono tantissimi in Italia i giovani tra i 18 e i 24 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in altri percorsi di apprendimento (i cosiddetti Neet): quasi il 25% del totale. E, anche limitandosi ai laureati, i Neet sono comunque circa il 15%. 
Fenomeni che derivano anche da tassi di dispersione scolastica troppo elevati: il 10% degli studenti di scuole secondarie professionali, per esempio, abbandona gli studi. E ciò avviene con grandi differenze a livello territoriale. Proprio quest’ultimo dato ci porta, con mestizia, a riconoscere come le principali conseguenze di tutte queste debolezze del sistema scolastico siano la solitudine e il disorientamento dei ragazzi più giovani. 
A volte senza una scuola, spesso senza nemmeno una famiglia alle spalle, inseriti in ambienti e territori a rischio anche per gli adulti, i nostri ragazzi diventano facile preda tanto della malavita quanto di un male ancora peggiore, l’assuefazione a una situazione di disagio sociale.
Ogni fatto di cronaca nera, ogni discriminazione, razziale o sessuale, ogni femminicidio e ogni violenza ci indignano. Quando tutto ciò avviene tra le persone più giovani, si aggiungono anche un profondo sconforto e la paura di un futuro ancora cupo. La condivisione, il rispetto, la socialità positiva non si possono certo imporre per legge. E la repressione è solo un tampone che non elimina le cause. Il recente dramma di Caivano, consumato guarda caso in un centro sportivo abbandonato, ci consegna forse, insieme allo sgomento, anche un suggerimento: che scommettere proprio sulla scuola e sullo sport, con le loro somiglianze e differenze, e investire nelle strutture così come nell’accoglienza dei ragazzi, possano eliminare o quantomeno limitare il pericolo di una deriva dalla quale non esiste esercito o forza di polizia che possa salvarci. 
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