Marcella Panucci e Marco Simoni

Come l'industria può favorire il rilancio di Roma

Come l'industria può favorire il rilancio di Roma
di Marcella Panucci e Marco Simoni
4 Minuti di Lettura
Venerdì 13 Novembre 2020, 10:28

C'è una cosa sempre sottovalutata nella discussione sul futuro di Roma: (...)
(...) non è possibile una fuoriuscita duratura dalla Questione Romana, una rinascita economica e sociale della Capitale prostrata da oltre dieci anni di crisi, senza un convinto rilancio della sua industria. Questa può sembrare una affermazione azzardata solo a chi non conosce la storia della Capitale e a chi non ne coglie la dimensione fisica e soprattutto le implicazioni della sua grandezza.

Per spiegare quanto Roma sia grande il trucco retorico più frequente è quello di paragonare un quartiere a caso con una media città di provincia. Perché è un errore? Perché essere grandi non significa essere uguali alla somma di tante città piccole, l'unicità di Roma è anche nel suo essere un corpo unitario: questa è la sfida più difficile del suo governo. Territori della stessa dimensione e popolazione non conoscono vera prosperità senza un settore industriale robusto. Lo spiegano non solo tanti studi di geografia economica, ma la conoscenza empirica delle cose.


Sia pur inferiore per occupati e dimensione rispetto al variegato settore dei servizi, l'industria è la prima acquirente di servizi di alta e altissima qualità: una domanda che produce effetti rilevanti in termini di qualità e innovatività dell'offerta. Dunque, l'industria crea direttamente e indirettamente molto lavoro e di grande qualità. Un dato di estrema rilevanza considerando che la capacità di attrarre capitale umano qualificato rappresenta una sfida chiave per qualsiasi città moderna. Molti studi definiscono il valore delle città sulla base della loro capacità di attrarre alti profili professionali.


Inoltre, basta guardare al recente passato. Dai primi anni 2000 a prima del Covid, dunque in circa venti anni, l'economia romana passata attraverso la crisi economica è cresciuta pochissimo, di pochi punti percentuali. Nei primi anni 2000 Roma primeggiava in molte classifiche, era la città dove andare, dove succedevano le cose: il contrario rispetto a ora da molti punti di vista. Bene, rispetto ad allora, il peso dell'industria nell'economia di Roma è diminuito di oltre il 40%! Difficile non pensare che vi sia un forte nesso tra la riduzione dell'importanza dell'industria e il declino della città nel suo complesso.


Eppure moltissime potenzialità rimangono presenti, a partire da università grandi e di qualità eccellente attorno alle quali è possibile lavorare per aumentare le connessioni anche fisiche al territorio. Basti pensare la scarsità di interventi urbanistici per legare l'Università di Tor Vergata, o il Campus Bio Medico di Trigoria, al resto del corpo urbano.

In assenza di progetti cittadini che favoriscano gli ecosistemi, come negli ultimi venti anni è accaduto in tutte le città che sono riuscite a crescere, questi luoghi rimangono eccellenze isolate col paradosso di essere collegati con maggiore facilità a hub internazionali che ai loro stessi quartieri.


Nonostante ciò, esiste ancora a Roma e cresce a ritmi importanti un'industria di elevatissima qualità, e su di essa possono e devono essere predisposti dei piani di lungo periodo, per costruire tali ecosistemi. Sapendo di sbagliare per difetto noi vediamo quattro macrosettori dove Roma ha una vocazione naturale: quello dell'aerospazio, che gode della presenza di aziende romane già multinazionali attorno alle quali ecosistemi che vanno dall'informatica ai materiali di ultima generazione possono agilmente svilupparsi. Quello del bio-tech e della farmaceutica, che sulla scorta di tradizioni scientifiche antiche e mai sopite possono rilanciare anche capacità produttiva, della cui importanza nel nostro Paese oggi nessuno può più dubitare. Il settore della chimica verde e dell'economia circolare, cruciali per un modello di sviluppo green capace anche di innalzare il benessere collettivo in termini di produzione e reddito. Infine: il settore delle tecnologie energetiche, che può godere di una concentrazione unica di aziende leader anche nei processi di decarbonizzazione. Siamo sicuri che, nonostante il nostro osservatorio privilegiato, qualcosa ci sfugge del dinamismo spesso mal raccontato e non capito del settore privato romano.


Troppo a lungo si è demandato allo stato centrale la responsabilità in questo ambito, mentre le storie di successo degli ultimi venti anni, come accennavamo in apertura, sono dipese da città che con spirito imprenditoriale hanno saputo cogliere e sfruttare al massimo le proprie vocazioni. La crisi generata dal Covid rende tutto più urgente e rilevante, offrendo anche importanti ragioni economiche, di prudenziale accorciamento delle catene del valore, per un re-shoring di manifatture spostate all'estero troppo precipitosamente.

Il Recovery Fund può dunque essere impiegato non per costruire improbabili funivie o sostituire spesa corrente, ma in piani di investimento urbano che incentivino l'imprenditoria privata rendendo logico e conveniente investire su Roma e sulle sue competenze. Inoltre, esistono strumenti efficaci, ma mai utilizzati a Roma, a partire dalla legge 448 del 1998, che consente una riutilizzazione di siti dismessi per favorire la reindustrializzazione. In questo modo il rilancio dell'industria può e deve anche essere uno strumento per riqualificare e far rivivere zone abbandonate e spesso inquinate del nostro territorio.
*Segretario generale del Mise
**Docente Luiss

© RIPRODUZIONE RISERVATA