Da un lato i referendum illegittimi nelle quattro regioni dell’Ucraina voluti da Putin e accompagnati dalla minaccia nucleare; dall’altro l’aggravarsi dei problemi dell’economia e delle conseguenze sul credito e la finanza senza che per ora l’azione delle Banche centrali raggiunga risultati: un tema, quest’ultimo, purtroppo solo sfiorato nella campagna elettorale. È la cronaca stringata, insieme al cordoglio per la perdita di vite umane causata dall’alluvione nelle Marche, della giornata di mercoledì scorso: dies nigra signanda.
La metafora della corda che è molto utile per stringere, ma non lo è per spingere, viene in mente a proposito della decisione della Federal Reserve di aumentare i tassi di riferimento di 75 punti base portandoli fino al 3,25% e lasciando intendere l’arrivo di ulteriori aumenti, complessivamente dell’1,25%, entro fine anno. La manovra è indubbiamente dolorosa, ma si pensa che sarebbe ancor più pesante non agire contro l’inflazione che ha superato l’8%, mentre ci si accontenta amaramente della stima di un calo del costo del denaro al 2,9% nel 2025. E ciò pur incombendo il rischio di una recessione o, peggio, di una stagflazione.
Intanto si prevede una crescita del Pil Usa prossima alla zero. C’è da chiedersi se, dopo i gravi ritardi nel delineare gli sviluppi dell’inflazione, non si stia operando ora una “ipercorrezione” tirando la corda oltre il necessario e perdendo di vista l’economia reale, mentre le cronache segnalano che fin qui vi sono state, a livello globale, ben 90 strette dei tassi ad opera delle Banche centrali. Si continua comunque a navigare a vista e si ribadisce che si agirà sulla base dei “dati”, ma non è chiaro a quali dati ci si riferisca, tra l’ovvietà e l’ermetismo. La mossa della Fed avrà impatti in Europa e sulla strategia della Bce che ne discuterà nella riunione del Consiglio direttivo di ottobre, in vista della quale i “falchi” chiedono un nuovo aumento dei tassi dopo lo 0,75% varato l’8 settembre; mentre l’euro, dopo la mossa della Fed, si va indebolendo nei confronti del dollaro con conseguenze negative (deflusso di capitali) e positive (esportazioni), ma non la cura migliore per l’inflazione che ad agosto nell’Eurozona ha superato il 9%.
Poi vi è quanto spetterà al nuovo governo italiano, ma anche a quello in uscita se i tempi della successione si allungassero. Un mix di ulteriori restrizioni monetarie e di restrizioni dal lato della politica economica e di finanza pubblica sfocerebbero nel classico rigor mortis, accentuando i presupposti della recessione. Possibile che le manovre selettive non siano considerate? Peraltro, considerato il rilievo globale dell’inflazione e della crescita in frenata, sono pure gli organismi internazionali che debbono intervenire. Una riunione straordinaria del G7 sarebbe doverosa, così come un raccordo tra le principali Banche centrali. L’obiettivo è trarre le conseguenze dalla connessione dei problemi e delle aspettative a livello globale. Oltre naturalmente a elaborare una strategia euroatlantica a fronte dell’escalation della guerra in Ucraina con i suoi forti impatti economici.