Flaminia Bussotti
Flaminia Bussotti

I nuovi scenari/ Il modello tedesco da cambiare

di Flaminia Bussotti
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Sabato 2 Aprile 2022, 00:52

La guerra in Ucraina significa per la Germania un cambio di paradigma nella politica di Difesa, ma non solo: significa anche la fine del modello economico basato sull’export, inclusi Paesi autocratici come la Russia e la Cina. Le falle del modello erano già emerse con la pandemia e sono ora evidenti con l’Ucraina. Per gli esperti, la Germania deve farsi resiliente e valutare dove esporta: se finora ciò che contava era il profitto, in futuro conteranno anche le credenziali democratiche degli importatori. Una tentazione per bilanciare lo squilibrio con la Russia potrebbe essere buttarsi sulla Cina dove già l’export tedesco è molto forte. Ma sarebbe un errore. Le industrie tedesche nel Dax (il più importante indice azionario con le 40 maggiori aziende) fanno il 16% del fatturato in Cina. Per molte la Cina è il mercato maggiore. Per la dipendenza energetica da Mosca, la Germania è il Paese più colpito dalla guerra in Ucraina: il 55% del gas importato viene dalla Russia (30% Norvegia, 13% Olanda). Nel 2020 la Russia era il 15° partner commerciale, con 23 miliardi di euro. Dopo la caduta del Muro molte aziende sono andate sui mercati dell’Est Europa e della Russia anche se, dopo l’annessione della Crimea nel 2014, si è registrato un calo di presenze: da 6.300 a 3.600 imprese nel 2021. Le grandi industrie come Volkswagen e Siemens invece sono rimaste, ma sono preoccupate e fanno pressioni sul governo per una soluzione diplomatica.

Le sanzioni Ue e la fine delle relazioni commerciali con Mosca fanno male, ma molto peggio sarebbe se la Germania dovesse rompere con la Cina. Si studia una via di uscita e un nuovo modello che coniughi profitto e diritto. Il vecchio modello - produzione in vari Paesi esteri (meno costosi) e vendita in tutto il mondo - mostra le sue crepe. Già con il Covid si erano visti i limiti di tale modello: la guerra ha rivelato con tutta evidenza che è inadeguato e obsoleto. Con l’aggressione del 24 febbraio Putin ha violato non solo il diritto internazionale ma ha anche minato il modello del commercio mondiale. Il commercio estero ha subito un duro colpo ma non essendo la Russia e l’Ucraina target primari di export, l’economia tedesca nel complesso per ora tiene. Ripercussioni sono attese nel settore energetico, con conseguente aumento dei prezzi e contrazione dei consumi e relativo calo dell’economia anche se non si prevede un crollo a meno di una grave escalation geopolitica o una crisi economica sistemica.

Quale è per la Germania un modello alternativo? Come effetto della guerra in Ucraina si prevede un’accelerazione del piano per le fonti rinnovabili, con impiego aggiuntivo di manodopera specializzata.

Alla luce della crisi ucraina e della pandemia le industrie tedesche ora vogliono ridurre anche la dipendenza dalla Cina: «Il 46% delle aziende manifatturiere riceve importanti anticipi dalla Cina, e quasi la metà intende ridurli», viene rilevato dall’Istituto Ifo. L’intento è diversificare le fonti di introito, ridurre costi e rischi nella logistica, e premunirsi contro l’incertezza politica. Gli sforzi delle aziende potrebbero essere facilitati da una politica commerciale tedesca e europea, ad esempio con una rapida ratifica dell’accordo commerciale con gli stati Mercosur. Secondo l’Ifo, la Cina ha un ruolo importante come fornitore e come mercato per la Germania ma non dominante. Però Berlino «dipende per molti prodotti industriali e materie prime da Pechino» e se si sganciasse di colpo dall’economia cinese si interromperebbero importanti catene di forniture. È necessario quindi adoperarsi a livello europeo per una diversificazione dei prodotti critici e delle materie prime. «L’Ue dovrebbe porsi con la massima determinazione con Pechino, sarà decisivo per il futuro delle relazioni commerciali con la Cina», suggerisce l’Ifo.

Un modello da reinventare che non potrà essere realizzato dalla sera alla mattina; trovare alternative alle forniture russe farà lievitare i costi e non si escludono strozzature, tanto che il ministro dell’Economia Robert Habeck ha già messo a punto un piano di emergenza in caso di crisi energetica. I rialzi del gas comporteranno anche un aumento dell’inflazione, stimato fino al 6,1%. Il risultato è un aumento della spesa. Il governo, oltre che per migliorare la Difesa (più del 2% del Pil), dovrà fare debiti anche per l’emergenza energetica: trovare alternative alla Russia, accelerare sulle rinnovabili e al tempo stesso, se ce la fa, portare a termine il piano di chiusura di tutte le centrali a carbone e nucleari. Ironia della sorte, fare tutti questi debiti toccherà proprio al ministro delle finanze liberale Christian Lindner, la cui ambizione sarebbe stata niente debiti, deficit zero e taglio delle tasse.

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